Il romanzo del trentenne Francesco Baucia, L'ultima analisi (Sedizioni, pp. 144, euro 18) rivela come dev'essere, oggi, lo scrittore esordiente: giovane, colto (nel caso, una laurea in filosofia), con esperienza lavorativa (Baucia è nell'editoria), buone letture, predilezioni tematiche, familiarità con i personaggi letterari.Protagonista della storia, infatti, è nientemeno che Sigmund Freud nei suoi ultimi anni londinesi: a Londra, infatti, il padre della psicoanalisi riparò per sfuggire al nazismo, e lì morirà nel 1939, a 83 anni. Freud è malato, vorrebbe dedicare le ultime energie a scrivere un libro per i posteri, ma non rinuncia a essere medico e riceve ancora alcuni malati. Da un dottor Seward viene coinvolto nel caso di stranissima isteria di Mina Harker, soggetta a crisi di vampirismo e di misteriosa possessione. Si dà la coincidenza che i personaggi del romanzo abbiano i nomi e compiano gesta analoghe a quelle dei protagonisti di Dracula, il romanzo che Bram Stoker pubblicò nel 1897, ma non è questo che conta. Francesco Rognoni, nel risvolto avallante dell'Ultima visita, scrive di aver letto due volte il dattiloscritto «senza pensare che Jonathan e Mina Harker, il dottor Seward, Renfield il matto, l'amica Lucy e gli Szgany, li avevo già incontrati nel romanzo di Bram Stoker e chissà quante altre volte, prima e dopo, nel cinema e in tv: tanto Baucia è serio, e direi proprio accorato, nel reinventar la loro storia senza effetti speciali».Sì, forse i nuovi romanzi si scrivono proprio così, reinterpretando altri romanzi, rielaborando storie e biografie. Non mi sembra, almeno nel caso di Baucia, mancanza di fantasia: è la scelta di applicare la creatività a vicende altrui, secondo una logica controfattuale. Avevamo avuto un folgorante esempio nel bellissimo romanzo di Alessandro Zaccuri, Il signor figlio (2007), che ipotizzava Giacomo Leopardi non morto per indigestione di gelati a Napoli, come in realtà avvenne, bensì emigrato in incognito proprio a Londra a tessere lo Zibaldone come un'enorme macchina leonardesca.Baucia è molto bravo a entrare nella psicologia di Freud, a suggerire il legame limpido ma non limpidissimo con la figlia Anna, il suo scrupolo di codardia per aver abbandonato a Vienna altri parenti, simmetrico a quello di suo padre ragazzo che, in un episodio notissimo, non aveva reagito alla provocazione antisemita di chi gli aveva gettato a terra il cappello. E la rielaborazione della trama vampiresca, spostata di quarant'anni rispetto all'originale di Stoker, ha una tessitura robustissima, con reiterati colpi di scena, che tiene incatenato il lettore fino all'ultima pagina.È un romanzo che si presenta come docu-drama, un misto di fiction e di storia letteraria come si vede spesso in televisione, con il rischio, in televisione, che lo spettatore prenda per fiction il documento, e per vera la fiction. In letteratura il rischio è minore, sia perché, almeno in Baucia, viene rielaborata una fiction e non una storia, sia perché la biografia di Freud è analizzata con forte attendibilità. La scrittura del giovane autore è esperta, con qualche piccola pedanteria nell'indugiare sui dettagli («poteva vedere le foglie di edera grondare rivoli e gocce di pioggia le une sulle altre»: proprio necessario «le une sulle altre»?) e qualche refuso (al primo apparire, Mina Harker viene presentata come «signorina» e, sulla stessa riga, è «moglie»), ma decisamente efficaci sono l'architettura narrativa, il plot e la suspense. In questi casi si dice: aspettiamo il secondo libro. Ma, intanto, godiamoci il primo.
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