La scorsa settimana, nell'arco di pochi giorni, il 12 e il 15, si sono celebrate due Giornate in qualche modo speculari. Prima quella contro lo sfruttamento del lavoro minorile, e tre giorni dopo quella contro la violenza sugli anziani. Due celebrazioni, va detto subito e con rammarico, che se non fosse stato per il risalto dato a quegli appuntamenti da pochissimi media, tra cui Avvenire, sarebbero passate completamente sotto silenzio. E questo già da solo basterebbe a far comprendere a tutti quanto bisogno vi sia di una profonda sensibilizzazione su queste due tematiche, che toccano problemi che dovrebbero essere al primo posto tra le priorità di ogni società che voglia dirsi civile, ma che purtroppo, con tutta evidenza, non lo sono.
C'è, al riguardo, un problema di priorità e di risorse. Perché quando si parla di bambini e di anziani si parla delle fasce più deboli della popolazione, quelle meno protette, le prime a "saltare" nei momenti di crisi. Lo abbiamo visto con chiarezza anche nel corso di questa pandemia; e Francesco lo ha ricordato lo scorso 10 giugno, proprio riflettendo sulla Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile, osservando come «nell'attuale situazione di emergenza sanitaria, in diversi Paesi molti bambini e ragazzi sono costretti a lavori inadeguati alla loro età, per aiutare le proprie famiglie in condizioni di estrema povertà... Tutti noi siamo responsabili di questo». E per quanto riguarda gli anziani, non c'è bisogno di ricordare, credo, che prezzo abbiano pagato al Covid-19, in Italia e in tutto il mondo, per trascuratezza nei loro confronti o colpevole incuria. Una strage che purtroppo continua, anche questa più volte denunciata da Bergoglio nelle scorse settimane.
Di tutto questo, appunto, è indispensabile essere consapevoli. Ma non solamente perché bambini e anziani rappresentano, come detto prima, le fasce più deboli della società, ma soprattutto perché essi «costruiscono il futuro dei popoli: i bambini, perché porteranno avanti la storia; gli anziani, perché trasmettono l'esperienza e la saggezza della loro vita». Papa Francesco pronunciò queste parole nel 2016, ricevendo in udienza la Comunità di Nomadelfia, fondata da don Zeno Saltini, esperienza caratterizzata «in particolare dall'accoglienza ai bambini e dalla cura tutta speciale per gli anziani», ed esortando i suoi interlocutori «a dare alla società questo esempio di sollecitudine e di tenerezza tanto importante... Non stancatevi di coltivare e alimentare questo dialogo tra le generazioni».
Un'idea che è molto cara a Francesco, tanto da farne uno dei leitmotiv del suo magistero. Un punto su cui insiste dal luglio del 2013 quando a Rio de Janeiro, durante il suo primo viaggio apostolico in occasione della Giornata mondiale della Gioventù, un po' a sorpresa introdusse in quel contesto il tema del patto tra le generazioni quale elemento imprescindibile per la crescita armonica della società. Perché se si riesce – se si riuscisse – finalmente a uscire da una visione esclusivamente economicistica della società, ci renderemmo conto tutti che proprio lì, in questo patto che sempre più strettamente dovrebbe legare bambini e anziani, sta la nostra vera possibilità di futuro. Una verità che soprattutto l'Occidente, col suo continuo inseguire le proprie ambizioni di illusoria onnipotenza, sembra aver completamente dimenticato. Impegnarsi contro lo sfruttamento dei bambini e contro la violenza sugli anziani non è "solo" proteggere i deboli. È assicurarsi il futuro.
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