«Ritornerai. Lo so ritornerai...». Iniziamo questo mesto e lento 2021 con una struggente e speranzosa Ritornerai di Bruno Lauzi, che non si riferiva certo al ritorno del nostro soggetto smarrito, forse ritrovato (?). Stiamo parlando di Mario Balotelli. Con Antonio Cassano, Mario è il più grande nevroromantico avvistato, negli ultimi trent'anni, sui nostri campi di calcio. Più sregolatezza che genio, entrambi. Eppure in coppia, FantAntonio (ora 38enne baby pensionato) e SuperMario (classe 1990, ripartito da Monza), agli Europei di Polonia-Ucraina 2012 ci fecero sognare. E quando il "Balo-gol" con un missile terra-aria scagliato contro la porta del quasi insuperabile Neuer, in mezz'ora mandò a picco la Germania di Loew (campione del mondo due anni dopo in Brasile) per poi correre ad abbracciare la mamma in tribuna, credemmo che quello fosse solo l'inizio di un cammino leggendario, da Pallone d'Oro. Neanche la finale persa malamente contro la Spagna (poker delle Furie Rosse) potevano offuscare quell'annata di grazia 2012 di Balotelli, campione d'Inghilterra con il Manchester City di Roberto Mancini e pronto a tornare in Italia per indossare la maglia della sua squadra del cuore, il Milan. Il Milan di Silvio Berlusconi che ai tempi lo definì affettuosamente «Mela marcia», e che adesso, paternamente da vecchio saggio, gli ha riaperto il cuore e il portafoglio per donarlo al suo Monza grandi firme. E a Marione sono bastati 232 secondi per mettere la sua di firma sul tabellino dei marcatori di Monza-Salernitana (3-0) e far capire a tutti che, se vuole, uno come lui in B è come schierare Messi in una squadra d'oratorio. A 30 anni suonati Balotelli sembra aver accettato di mettere la testa a posto. Seguendo il suo "dietologo" e pigmalione Adriano Galliani ha buttato giù 5 chili in pochi giorni, e Covid o non Covid, a fine partita è corso a Brescia, a casa di mamma. È lecito quindi sperare in una redenzione del figliol prodigo del pallone italiano? Non dire addio ai sogni non è solo un auspicio, ma il titolo del bel libro (Mondadori) di Gigi Riva, editorialista dell'Espresso e a suo modo un rombo di tuono di storie di cuoio. Dopo lo splendido L'ultimo rigore di Faruk (Sellerio) – il racconto della fine della ex Jugoslavia anche su un campo di calcio, ai Mondiali di Italia '90 – in Non dire addio ai sogni Riva narra l'odissea del giovane senegalese Amadou, uno dei tanti talenti partoriti dall'Africa (Balotelli è nato da famiglia ghanese, i Barwuah) che sognano di approdare in Europa e sconfiggere una volta per tutte la miseria più nera. Quel sogno, da più di un secolo anima i piccoli e grandi eroi di questo sport di «Esuli, immigrati e lavoratori», sottotitolo del saggio di Valerio Moggia, Storia popolare del calcio (Ultra Sport). Moggia è un classe 1989, un quasi coscritto di Balotelli che, magari, nella sua nuova vita da monaco di Monza scoprirà anche il piacere della lettura, e riflettendo sulla Storia del calcio, comprenderà meglio anche la sua storia personale, giunta ormai al secondo tempo.
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