Chiamiamolo cervello. Ma potremmo dire mente, coscienza, intelletto. Le sue funzioni e manifestazioni sono varie, non tutte sufficientemente esplorate, ma tutte in parte distinte e in parte indissolubilmente connesse: percezione, attenzione, memoria, immaginazione, volontà, razionalità, giudizio… Dentro o dietro c'è l'anima o psiche, che le diverse tradizioni antiche hanno esteso ad altri organi: cuore, fegato, polmoni, pancia ecc. Il deplorevole paradosso della modernità occidentale è che ci si occupa tanto di salute fisica, si sa tutto di dieta, ci si allena in migliaia di palestre, ma del cervello - mente - anima non ci si cura, come si trattasse di un dato stabile, di un presupposto immodificabile. L'insegnamento scolastico trasmette contenuti mentali, ma non aiuta a capire come far funzionare la mente nel modo migliore.
Ora però l'allarme è scattato. Al primo posto fra i pericoli c'è il «sovraccarico informativo», l'ingorgo comunicativo via computer e cellulare. Un linguista e filosofo come Raffaele Simone cita l'ottimo libro di Nicholas Carr Internet ci rende stupidi? e aggiunge: «la cultura digitale è uno dei più temibili moventi di interruzione della concentrazione che si siano mai presentati nella storia» (“La Repubblica”, 12 gennaio). Intanto gli studiosi di neuroscienze approntano i loro piccoli rimedi per aiutare almeno la nostra memoria.
Ma l'attenzione è forse la facoltà fondamentale e più alta. Simone Weil ne fece il fulcro della sua riflessione filosofica, morale e religiosa. In un'antologia personale di Wystan H. Auden, A Certain World, alla voce «Preghiera» si legge un aforisma di Ortega y Gasset («Dimmi a che cosa presti attenzione e ti dirò chi sei») e uno di Wittgenstein («Pregare è pensare al significato della vita»). Auden a sua volta osserva: «Pregare è prestare attenzione a qualcosa o qualcuno che non sono io stesso (…) Il primo compito di un maestro di scuola è insegnare ai bambini, in un contesto profano, la tecnica della preghiera».
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