Qualche giorno fa, su Facebook, commentando il WikiChiesa dedicato al film Ida, un'utente mi ha rimproverato: «Che stress: appena esce un film con contenuto vagamente religioso tam tam di tutti i media cattolici... ogni film, anche il più laico o laicista... offre occasioni di riflessione a un credente!». Spero di redimermi, sul versante della musica pop, sottolineando l'attenzione che in questi giorni, nella Rete d'informazione ecclesiale, si sono meritata due cantautori, l'uno in vita e l'altro in memoria. Sto parlando di Nek e di Lucio Dalla.Dai giorni di Sanremo sino a ieri, Nek si è affacciato sei volte, nella mia rassegna, e in tre di esse si faceva riferimento, sin dal titolo, alla sua spiritualità credente. Anche nell'intervista data il 3, su questo giornale, a Massimo Gatto, che ha goduto sui social network di una buona accoglienza, il dato di una speranza radicata nella fede è presente ed è esplorato.Ma quelli trascorsi sono anche i giorni del ricordo di Lucio Dalla, celebrato a Bologna aprendo la sua casa agli amici artisti – tra di essi lo stesso Nek – e ai fan. Di nuovo "Avvenire", stessa pagina, a firma di Massimo Iondini, con pari accoglienza su Facebook, racconta la visita con molti e pertinenti riferimenti alla sensibilità religiosa di Dalla, compreso quello alla sua nota frequentazione del vicino convento domenicano.Come scrissi già al momento della morte, non solo non trovo forzato ritrarre Lucio Dalla con questo profilo – fermo restando che parliamo di artisti e non di vescovi, di canzoni e non di omelie. Ma mi piace anche riascoltare, oggi, una delle sue canzoni più celebri, «L'anno che verrà» (la cui gestazione è passata anche dal suddetto convento) in chiave escatologica, come l'espressione "pop" della speranza in un tempo di eterna gioia, dove la sofferenza è bandita, i beni sono sufficienti per tutti, la malattia è guarita, la sessualità è riconciliata, la malizia scomparsa. Un paradiso.
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