martedì 30 agosto 2011
Ci sono tre categorie di persone: quelle che servono Dio perché l'hanno trovato; quelle che s'impegnano a cercarlo, perché non l'hanno ancora trovato; quelle che vivono senza cercarlo né averlo trovato. Le prime sono ragionevoli e felici; le ultime sono folli e infelici; quelle di mezzo sono infelici e ragionevoli.

C'è tutto Pascal in questa trilogia tratteggiata in uno dei suoi più noti Pensieri, il 257 nell'edizione Brunschvicg. Era da un po' che non proponevo questo grande pensatore e scienziato che amo: lo faccio ora in questo ultimo scampolo di vacanza per molti, perché la quiete è adatta anche a interrogarci sulle questioni capitali e ultime. In questo caso siamo di fronte all'“enigma Dio” che sta lì, grandioso e sublime, davanti a tutti. E qui entrano in scena le tre categorie di Pascal e il suo giudizio deciso e reciso, com'è suo costume. Vorrei sottolineare uno solo della coppia di verbi da lui introdotta, chercher-trouver. Si tratta del “cercare” che, alla fine, risulta il verbo determinante, perché è ovvio che il “trovare” non ha senso se non c'è il “cercare”.
Ebbene, è forse questa la grande “follia”, per usare il termine pascaliano, dominante nel nostro tempo. Il cercare, infatti, è faticoso; esige pazienza, impegno, dedizione. Ma quando si è già distaccati e indifferenti nei confronti delle realtà secondarie e modeste, come si potrà essere votati a valicare pendici aspre per raggiungere vette elevate e nobili? «Se c'è un inferno in terra — scriveva l'autore barocco inglese Robert Burton — esso va cercato nel cuore dell'uomo rassegnato», quello appunto che non cerca e, quindi, non può trovare. Non ha voglia di inerpicarsi lungo le domande fondamentali e preferisce aggrapparsi agli esclamativi dei luoghi comuni, dell'ovvietà, della pubblicità. Bisogna, invece, arrampicarsi almeno sul sicomoro come Zaccheo per riuscire a vedere Cristo che passa.
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