L'ultimo volumetto di David Foster Wallace che ci offre Einaudi ha un titolo sorprendente ma non troppo, Il tennis come esperienza religiosa, che fa pensare al ben noto Lo zen e l'arte della manutenzione della motocicletta di Robert Pirsig. Come dire: cari lettori, guardate quanto in alto e in là si può andare se ci si dedica con passione assoluta e competenza impeccabile a un'attività, tennis o motocicletta, che l'alta cultura ingiustamente non si degna di prendere in seria considerazione. Ma molti sanno che nel buddismo zen si vola più basso che si può, l'estasi specifica denominata satori si può raggiungere anche disponendo pietre e fiori in un certo modo, o camminando, o prendendo il tè e insomma connettendo qualunque cosa si faccia con il vuoto sovrano, immanente e trascendente, che abita in ogni cosa. Insomma: tecnica, autocontrollo, concentrazione delle proprie forze, "metterci tutta l'anima" e nello stesso tempo dimenticare il proprio io. Foster Wallace nel saggio che dà il titolo al volumetto esprime da ex tennista tutta la sua passione per il tennis. Chi ama e conosce questo sport andrà appunto "in estasi" leggendo le pagine di Wallace, apologia in piena regola del geniale tennista svizzero Roger Federer. Io ne so poco e in generale, dato che vincere o perdere contro un altro essere umano non mi entusiasma, non sono attratto dagli sport agonistici. In fondo, dato che si tratta di sopraffare un avversario, la brutalità del pugilato parla più chiaro. Sono attratto però dall'idea di (cercare di) compiere perfettamente ciò che si fa e si sa fare meglio. Le descrizioni che Foster Wallace riesce a darci sulla pagina di un incontro di tennis sono perfette: stanno ferme eppure si muovono!, Tennis e scrittura si fondono, precisione e movimento si uniscono e alla fine l'eleganza trionfa sulla forza, diventa forza. È questo ciò che commuove e dà pace in ogni arte quando finisce per somigliare a una preghiera: anima e corpo in perfetto accordo, ispirati da una forma e da un'energia che li trascende.