Se i libri possono e debbono essere discussi, perché non si può discutere una recensione? Nel mondo editoriale e letterario circola una convinzione diventata precetto secondo cui a chi ti recensisce non devi rispondere mai. Repliche e discussioni sembrano proibite dalla buona educazione, o forse si teme di fare pubblicità a chi ti critica. Il risultato di questo universale obbligo e patto del silenzio avrà forse uno scopo pratico, perché se tutti gli autori rispondessero sempre a tutte le recensioni, il sistema della comunicazione si ingolferebbe fino alla paralisi. Voglio solo osservare che in quel precetto di fairplay che vieta come indecente e scorretta la replica, si nascondono indifferenza a cinismo nei confronti della circolazione culturale da intendersi come dialogo e non solo come mercato. Non si tratta naturalmente di limitarsi a dire “mi piace, non mi piace” e “sono d'accordo, non sono d'accordo”. Si tratta di spiegarsi, di argomentare, di dire perché sì, perché no e a che cosa in particolare. Se non i quotidiani (intasati dalla chiacchiera politica che viene fatta apparire in ogni caso come “decisiva”) dovrebbero essere almeno i settimanali, i mensili e i periodici a ospitare le più interessanti discussioni fra recensiti e recensori. Si potrebbe immaginare per esempio una rivista dedicata interamente a ospitare discussioni di questo tipo, in cui scrittori e critici, autori e recensori approfondiscano i punti di reciproco dissenso e i criteri in base ai quali hanno scritto un libro o lo hanno giudicato male. L'invenzione greca dell'agorà e del dialogo, quella illuminista del club, del caffè, del salotto in cui ci si incontra e si discute di idee e di libri, non andrebbero dimenticate. Mentre oggi in Italia persino le controversie filosofiche, che sono il sale della filosofia, sono soffocate dalla reticenza. L'Oeffentlichkeit, la dimensione della pubblica opinione analizzata da Habermas, punto di incontro tra privato e pubblico, tra conversazioni informali e dibattiti secondo procedura, è uno dei fondamenti culturali delle democrazie moderne. Se l'eccellenza, la qualità artistica e intellettuale sono valori individuali e “aristocratici”, il loro peso e uso pubblico va però pubblicamente discusso. Di gusti non si discute, de gustibus non disputandum, si dice. Ma Theodor Adorno in uno dei suoi Minima moralia afferma il contrario: anche i gusti vanno discussi, perché anche le forme estetiche hanno un intrinseco rapporto con la verità e il bene. Senza questa discutibilità estesa alle “arti belle”, la critica non sarebbe nata e non avrebbe diritto di esistenza.
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