Ha cantato l'amore e il dolore, Nicola Vacca, come tutti i poeti e ciascuno a suo modo, ma ha sperimentato anche una sorta di «lirismo civile» che è la cifra di originalità delle sue penultime prove, lungo un itinerario che, dal 1994 a oggi, è scandito da opere apprezzate, fra gli altri, da Paolo Ruffilli, Sergio Zavoli, Antonio De Benedetti.
Adesso si affaccia con un'elegante plaquette delle Edizioni Il Foglio (pp. 102, euro 6), dal titolo Almeno un grammo di salvezza. È il risultato di una crisi e di un approdo religioso, la cui sincerità è testimoniata anche dalle Annotazioni finali in cui vengono ringraziati «alcuni meravigliosi compagni di strada che hanno condiviso con me questa ricerca interiore», «personale cammino nelle profondità bibliche della parola di Dio».
Molti componimenti hanno in epigrafe un versetto scritturistico, dal Cantico, a Isaia, all'Apocalisse, alla Lettera agli Efesini, e non si tratta di appigli ma di specchi in cui riflettersi. Perché il viaggio verso la Luce conosce smarrimenti e dolori, ma procede nella sicura speranza di incontrare una verità già intuita nei barlumi della fede.
Ma il poeta non può che esprimersi in parole, e le parole di Nicola Vacca questa volta sono particolarmente nutrite di silenzio, un silenzio che non è il silenzio di Dio perché «l'alfabeto di Dio / è davanti a noi», bensì è la condizione della ricerca che dovrà tradursi in parole. C'è la prova della «notte oscura», certamente, ma «la notte di Dio / non sempre è oscurità». E sicuramente non oscura è la parola del poeta, che sfida l'ossimoro di essere parola dell'ascolto. L'implicita dimensione metafisica talvolta emerge in chiaro, nel programma di «Tenere insieme le cose e l'essere / per testimoniare la speranza / nel grande disegno dell'eternità».
Di diverso segno, ma nella medesima direzione, è la ricerca di un giovane esordiente, Fabrizio Sinisi (Barletta, 1987), del quale Archinto pubblica La fame (pp. 112, euro 10), con affettuosa Postfazione di Sandro Lombardi.
Come giustamente osserva Franca Grisoni nella Prefazione, l'esperienza di Sinisi è opposta a quella di Montale, nel celebre Osso citato anche dal cardinal Martini ai funerali del poeta: Montale, «forse un mattino andando in un'aria di vetro», con terrore avrebbe visto «compirsi il miracolo: il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro di me»; a Sinisi, invece, «succede di scoprire la realtà / a diciott'anni, camminando quasi / per sbaglio / per le strade di Bari»; «catturato / in un punto qualsiasi del suo tempo, /si guarda attorno, s'accorge / per la sua prima volta / vede tutto, tutto intuisce, / presente: / senza tuttavia comprendere / lo scoprirsi semichiuso delle cose / lo coglie nell'uragano dell'abbraccio». Non la scoperta del nulla, dunque, ma l'ebbrezza dell'oggettività.
Quanta innocenza, quanta giovinezza c'è nel supremo momento in cui si coglie l'avventurosa alterità del mondo nel mentre si assapora e si gode la propria identità di soggetto! La «fame» di Sinisi è fame di esperienza, di vita in cui tuffarsi pur intuendo i rischi, le asperità, i dolori, ma sempre con la certezza della positività del reale.
Ci sono le inevitabili ingenuità dell'esordiente, in questa prova di un poeta pur coltissimo, la cui frequentazione di letture è documentata dai due «omaggi» a Sandro Penna e a García Lorca, quest'ultimo con echi ungarettiani. E la sapiente dimestichezza con i correlativi di paesaggio consente a questo giovane pugliese, ben radicato nella sua terra, di respirare ed esprimere anche l'aria quasi cosmopolita di Milano. Sinisi inoltre è appassionato di teatro e ha già collaborato a impegnative messinscene come quella dei Promessi sposi alla prova di Giovanni Testori. Un sicuro talento sul quale è facile scommettere con garanzia di facile vittoria.
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