Ci risiamo: piove e l'Italia frana, mentre i campi annegano e i bilanci delle aziende agricole fanno acqua da tutte le parti. Non è una novità, ma fa rabbia lo stesso.
Lo aveva detto l'associazione nazionale delle Bonifiche e delle Irrigazioni: per mettere mano in maniera degna al disastro idrogeologico nazionale occorrerebbero 5mila milioni di euro (vedere Pianeta Verde del 19 febbraio scorso). Una somma evidentemente eccessiva. Anche se sulle modalità di reperimento e di spesa la stessa Anbi aveva avanzato proposte di mutui, piani pluriennali e ricorso a finanziamenti europei. D'altra parte, che occorra fare qualcosa lo si capisce dalle cronache degli ultimi giorni. Basta mettere in fila qualche numero sciorinato dalla Coldiretti per capire. Gli allagamenti dei terreni causati dalle precipitazioni avrebbero già causato danni nelle campagne per qualcosa come 100 milioni di euro. Che non sono certo cinquemila, ma si riferiscono agli effetti di solamente qualche giorno di precipitazioni più abbondanti, e in non tutta la Penisola.
Il problema, quindi, rimane e tutto. Anche se non è dovuto solo alla scarsità dei fondi a disposizione. Sempre Coldiretti, infatti, precisa che all'elevato rischio idrogeologico non è certamente estraneo il fatto che negli ultimi 40 anni un territorio di cinque milioni di ettari equivalenti è stato sottratto all'agricoltura che " afferma la Coldiretti " interessa oggi una superficie di 12,7 milioni di ettari, con una riduzione di quasi il 27%. Insomma, una delle cause starebbe proprio nella scomparsa dell'agricoltura da una parte sostanziosa dei terreni, che sono stati così abbandonati a loro stessi. Se a questo si aggiunge che nello Stivale ci sono 5.581 comuni, il 70% del totale a rischio idrogeologico, dei quali 1.700 sono a rischio frana e 1.285 a rischio di alluvione, mentre 2.596 sono a rischio per entrambe le calamità, si capisce subito che l'Italia che si scioglie sotto l'acqua è il risultato di una storia complessa e difficile da dipanare, frutto di scarsi interventi ma anche di una grande disattenzione.
I tecnici, in ogni caso, pare abbiano le idee chiare. Il progressivo abbandono del territorio e il rapido processo di urbanizzazione non è stato accompagnato da un adeguamento della rete di scolo delle acque. Tutto tenendo conto che, a complicare la situazione, ci si mette anche il clima, che cambia accentuando la frequenza con cui si verificano eventi estremi, sfasamenti stagionali, il maggior numero di giorni consecutivi con temperature estive elevate, l'aumento delle stesse e la modificazione della distribuzione delle piogge. Il risultato è sotto gli occhi di tutti noi. Ma cosa si può fare? Detto in parole semplici, occorrerebbe intervenire per invertire una situazione che mette a rischio la sicurezza idrogeologica del Paese. È qui che l'associazione delle Bonifiche, con il suo lungo elenco di interventi, dovrebbe essere più ascoltata. Congiuntura economica permettendo.
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