Ametà degli anni 80 mi trovavo un giorno in un bar di corso Venezia a Milano a consumare qualcosa con Emilia Lodigiani, che aveva da poco fondato e dirigeva una bellissima casa editrice, Iperborea, specializzata in culture del Nord Europa, ed entrarono, sedendosi al nostro tavolo, “la Nanda” Pivano, che entrambi conoscevamo, con un barbuto americano di mezza età che ovviamente riconoscemmo immediatamente per Allen Ginsberg: il grande poeta della beat generation, l'autore di uno dei poemetti più noti (e più belli, e più arditi) del Novecento, L'urlo. Quell'incontro mi emozionò più di tanti altri, perché amavo molto le sue poesie e quelle dei suoi amici di banda, per esempio Ferlinghetti. E il prosatore Kerouac, di cui più tardi l'editore Garzanti presso cui lavoravo mi chiese arditamente di scrivere la prefazione a una ristampa di Sulla strada. Di Ginsberg mi capitò di parlare spesso con Elsa Morante a Roma, che molto lo stimava. Ma non era solo una questione di estetica, era anche, per davvero, una questione di “generazione”: anche se Ginsberg e gli altri avevano una decina d'anni più di me, erano una “nouvelle vague” travolgente di libertà e di novità, venuta prima di quelle europee dei Cinquanta e negli Usa direttamente collegata alle esperienze più ardite del nuovo teatro (per Ginsberg, il Living di Julian Beck e Judith Malina, per noi in Italia, Carmelo Bene). Una poesia visionaria e profetica. Di quella “leva” americana ci piaceva quasi tutto, nonostante qualche rimbrotto da parte dei nostri padri e fratelli maggiori “marxisti”, e fu per questo che amammo così tanto, credo, anche il giovane Pasolini; diverso da loro ma, ci sembrava, più vicino di quanto non si riconoscesse. Di Ginsberg, confesso, oltre la predicazione di una libertà nuova, mi incuriosì e mi piacque il suo accostamento alla religione, ma passando dall'India e dal Buddha, anche se, ricordo, con amici dicevamo che non c'era bisogno di spingersi così lontano per trovare i nostri profeti. Anche se, si sa, almeno a una certa età, l'erba del vicino è sempre più verde... (E più che Ginsberg, su questo fronte ci piacque Gary Snyder, oggi più che dimenticato). E comunque, che gran personaggio e che gran poeta è stato Allen Ginsberg, di cui val sempre la pena di leggere i versi e di consigliarne la lettura ai più giovani. Guardare le cose in faccia e in profondità, e lasciare che ci cambino la vita, infine!
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