Alla riscoperta di Vincenzo Albrici maestro dimenticato del Seicento
domenica 19 gennaio 2003
Vincenzo Albrici, chi era costui? Dai manuali di storia della musica si riesce con fatica a ricostruire l'immagine sfuocata di un artista che ha peraltro vissuto il suo tempo da protagonista: compositore e virtuoso della tastiera, nacque a Roma nel 1631, ove fu probabilmente allievo di Carissimi al Collegio Germanico, ma trovò poi quasi sempre impiego fuori dall'Italia, tra Stoccolma (al seguito della regina Cristina di Svezia), Dresda (successore di Schütz nella carica di Kapellmeister di Johann Georg II), Londra (presso la corte di Carlo II), Lipsia (organista nella "bachiana" Thomaskirche) e infine Praga, ove morì (non si è ancora appurato se nel 1690 o nel 1696): una carriera giocata ai più alti livelli internazionali, che lo stesso Albrici, ormai avanti negli anni e lontano dagli sfarzi di corte, ripercorreva non senza una punta di rimpianto: «In passato maestro di cappella di re, duchi e principi; poi direttore musicale dell'illustre duca di Sassonia; oggi rassegnato servitore di autentici amanti della musica». Con una scelta indubbiamente coraggiosa, l'etichetta svedese Musica Rediviva (distribuita da Bottega discantica) ha dedicato un disco ai suoi Concerti sacri: brani per 1, 2 o 3 voci soliste e accompagnamento strumentale, che ritornano oggi a un rinnovato splendore grazie alla rara sensibilità musicale del gruppo vocale e strumentale Cappella Augustana, diretto con passione da Matteo Messori, vero e proprio deus ex machina di quello che a tutt'oggi risulta il primo e unico cd interamente dedicato al Maestro romano. Lavori di fascino immediato, i Concerti sacri di Albrici colpiscono da subito per un diffuso senso di bellezza e di luminosa spiritualità, risvegliato dalla sobria linearità di trame melodiche già presaghe di una certa sensibilità settecentesca, ma in modo particolare dalla raffinatezza di una scrittura che mai cade nel virtuosismo fine a se stesso. Alla luce di tale consapevolezza va letta l'entusiasmente prova offerta dai tre cantanti solisti (i soprani Rosita Frisani e Alessandra Vavasori, ma soprattutto il basso Carlo Lepore, in grande evidenza nello splendido Quantus amor Jesu) e dall'intera sezione strumentale della Cappella Augustana, nel dare vita a un disco che se da un lato rappresenta il premio alla fatica per un rigoroso lavoro di ricerca, dall'altro indica un nuovo percorso interpretativo per il repertorio sacro del XVII secolo.
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