«Quanta sporcizia c'è nella Chiesa, e proprio tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a Lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza! Signore, spesso la tua Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti. [...] La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Ma siamo noi stessi a sporcarli! Siamo noi stessi a tradirti ogni volta, dopo tutte le nostre grandi parole, i nostri grandi gesti. Abbi pietà della tua Chiesa: anche all'interno di essa, Adamo cade sempre di nuovo». Sono passati quindici anni da quando queste parole, scritte dall'allora cardinale Joseph Ratzinger nelle riflessioni proposte per la Via Crucis del 2005, scossero le coscienze un po' intorpidite di tanti nella Chiesa. Pochi giorni dopo Giovanni Paolo II sarebbe morto, e appena poche settimane più tardi lo stesso Ratzinger sarebbe stato eletto Papa col nome di Benedetto XVI, avviando un'azione di pulizia da quella sporcizia che si annidava in alcuni ambiti. Una lotta intransigente, sorda a ogni riduzionismo o, peggio, giustificazionismo; inflessibile (come moltissimi sono sempre stati) in particolare contro gli abusi sui minori perché, come disse in più occasioni, sono crimini orrendi e anche un solo caso sarebbe intollerabile. Parliamo di scandali che «sfregiano il volto della Chiesa», che Francesco ha contrastato e continua a contrastare con identico vigore. Anche perché, come ha sottolineato Bergoglio rivolgendosi al clero di Roma e parlando delle "amarezze" del prete, non c'è solo da restaurare l'immagine "pubblica" della Chiesa, ma anche "interna" , ripristinando la fiducia tra i sacerdoti, spesso minata da quelle deprecabili vicende. Infatti, «il presbitero in questi ultimi anni ha subito i colpi degli scandali, finanziari e sessuali. Il sospetto ha drasticamente reso i rapporti più freddi e formali; non si gode più dei doni altrui, anzi, sembra che sia una missione distruggere, minimizzare, far sospettare». Davanti agli scandali, «il maligno ci tenta spingendoci a una visione "donatista" della Chiesa: dentro gli impeccabili, fuori chi sbaglia! Abbiamo false concezioni della Chiesa militante, in una sorta di puritanesimo ecclesiologico. La Sposa di Cristo è e rimane il campo in cui crescono fino alla parusia grano e zizzania. Chi non ha fatto sua questa visione evangelica della realtà si espone ad indicibili e inutili amarezza». Una triste realtà, resa ancora più devastante, se possibile, dal fatto che «i peccati pubblici e pubblicizzati del clero hanno reso tutti più guardinghi e meno disposti a stringere legami significativi, soprattutto in ordine alla condivisione della fede. Si moltiplicano gli appuntamenti comuni – formazione permanente e altri – ma si partecipa con un cuore meno disposto. C'è più "comunità", ma meno comunione! La domanda che ci facciamo quando incontriamo un nuovo confratello, emerge silenziosamente: "chi ho veramente davanti? Posso fidarmi?"». Qui, ha spiegato Francesco, il "dramma" è non la solitudine, ma l'isolamento in cui il presbitero viene a trovarsi. Isolamento rispetto «alla Grazia, alla storia, agli altri». Ma da una comunità senza comunione «nasce la competizione e non certo la cooperazione». E la Chiesa si sfalda dal suo interno, fino a evaporare, e addirittura a dissolversi. Fino a implodere e sparire. È questo il vero, terribile rischio.
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