Nella prima vita di Roberta c’erano budget, margini di profitto, investimenti. Nella seconda vita l’orizzonte è far uscire quante più donne possibile dalla povertà.
Le sue ricamatrici le chiama artiste: tracciano geometrie preziose con i fili colorati, secondo tecniche tradizionali che evitano i nodi nel retro del lavoro. Nella prima vita manager di successo, nella seconda lo stesso, ma con l’aggiunta di una missione. Roberta Ventura è nata 49 anni fa nel Cuneese, e dopo la laurea alla Bocconi con una tesi sulla ricostruzione del Libano post guerra civile, inizia una carriera sfolgorante nella finanza londinese.
Ma non era sufficiente, non bastava. E questa incompletezza le scava dentro insieme al suo amore per il Medio Oriente. Il perché le è diventato chiaro anni dopo, quando nel 2013 visitò il campo profughi di Jerash, in Giordania, dove vivono ormai da quattro generazioni migliaia di palestinesi in condizioni difficilissime. Lì, tra le baracche con i tetti di lamiera, dove la malattia più diffusa è la depressione, vide una sola donna che sorrideva: stava ricamando.
Il desiderio di avere un impatto sulla vita dei profughi e soprattutto delle profughe si è materializzato in quel momento. La domande era: come unire business ed etica, affari e solidarietà? Oggi la strada dell’impresa sociale è in discesa, ma 10 anni fa a Roberta Ventura è sembrato di andare controcorrente.
Roberta Ventura - Linkedin
Nel 2014 nasce la società Sep, Social enterprise project, con l’obiettivo di «portare – racconta ad Avvenire – migliaia di rifugiate al di sopra della linea di povertà, rafforzando i loro talenti e le loro capacità. Le donne così possono diventare agenti di cambiamento e avere un impatto positivo sulle comunità». Sep ha iniziato con 20 ricamatrici; oggi ne impiega oltre 500, che impreziosiscono con l’ago e il filo cappelli e borse, pareo e kefiah, maglie e scialli, coperte ed espadrillas, guadagnando somme di denaro sufficienti a mantenersi, mandare i figli a scuola e garantire loro un futuro più fortunato della generazione precedente.
«Dietro il ricamo c’è creatività. Ciascuna artista mette sé stessa nel suo lavoro, e il risultato è che gli articoli ricamati trasmettono grandi emozioni. Più che oggetti di artigianato sono opere d’arte», racconta Roberta, che nel 2016 ha abbandonato l’alta finanza, coinvolgendo nel suo sogno il marito Stefano e i figli meno che ventenni Andrea e Giulia.
Le ricamatrici frequentano un’Accademia che ha rinverdito tecniche ottocentesche, in cui il ricamo – a onde, a giglio, ad alveare, in un mix di tradizione araba e geometrie moderne – deve essere perfetto e senza nodi. Da quando la Sep è stata fondata, con sede a Ginevra, sono state formate oltre 1.000 lavoratrici. Donne come Nawal, sei figli. «Faceva l’insegnante al campo profughi di Jerash – racconta Roberta –. Ma quando il marito l’ha abbandonata era caduta in depressione. Lavorando con noi la sua prospettiva è cambiata: i suoi figli si sono laureati, e ora è manager di un team di 12 persone». La soddisfazione maggiore di Roberta è di essere diventata davvero parte di una comunità, pronta ai bisogni delle sue artiste. «Abbiamo una cassa di emergenza per varie necessità e le ricamatrici sanno che possono chiedere aiuto». Piccoli prestiti o anticipi sugli stipendi futuri non sono negati. «Paghiamo le ricamatrici ogni lunedì, attraverso un portafoglio digitale, e questo è importante anche come educazione finanziaria», continua.
Un altro punto fermo di Sep è che l’acquisto etico non deve essere necessariamente “povero”. I prodotti ricamati nel campo profughi di Jerash, confezionati in cashmere, cotone e filati preziosi italiani, vengono venduti in sei boutique, da Ginevra a Berlino, da Milano ad Amman. «L’acquisto di un capo con queste caratteristiche non deve essere mosso da pietà. Volevo che fosse riconosciuta la dignità di un lavoro artigianale e artistico, la qualità di un prodotto che per essere scelto deve prima di tutto piacere».
L’impatto di Sep, come auspicava Roberta, è stato enorme: l’87 per cento delle artiste dichiara miglioramenti nei sintomi della depressione, 849 tra bambini e donne hanno frequentato attività educative nell’Accademia attiva da 5 anni. Il futuro passa attraverso la cruna di un ago.