E quindi da domani si potrà tornare a Messa. Con tutte le misure e le distanze, ma si potrà tornare nelle chiese, nelle nostre chiese, e dire il Padre nostro, e inginocchiarsi, e ricevere la Comunione.
Quando le Messe erano state sospese ne ero stata davvero sconcertata e addolorata. Mi pareva strano che proprio in un momento di collettiva sofferenza, ci venisse negato il Pane. Solo passando i giorni, mentre a Milano le sirene delle ambulanze si facevano un coro continuo e angoscioso, ho capito quale rischio sarebbe stato, non fermare le Messe. Ho pensato a quanti sacerdoti sono morti – una falce ha mietuto tanti volti cari – e ho immaginato quanti avrebbero potuto contagiarsi, dalle mani di uomini ignari di essere malati. Allora ho capito che la decisione era stata saggia. E mi sono accorta anche di quanto poco mi fossi finora resa conto di quale dono ci è offerto ogni mattina, nella chiesa sotto casa. Di quel Pane, nella mancanza, mi è venuta nostalgia. Poi, un giorno sono andata a Roma per lavoro. Ho camminato ore e ore nella città deserta, mai sazia di quella bellezza silenziosa e irreale. Sono passata davanti a una antica chiesa, era aperta, sono entrata. Nessuno: solo, in una cappella laterale, una giovane donna inginocchiata. Mi sono seduta poco lontana, solo in verità per riposare. In quel momento è arrivato un sacerdote e ha iniziato a celebrare. Alla Comunione la donna, che evidentemente era lì per questo, si è alzata. Io no, non credevo d'essere invitata. Ma il sacerdote mi ha fatto un cenno, e io ho risposto sì, meravigliata. Forse quella sconosciuta aveva subito un lutto, aveva fatto una richiesta speciale. Io, ero lì per caso. Ma me ne sono andata stranamente lieta, pensando che forse – lo so, incredibile, assurdo – colui del quale avevo nostalgia, nella Roma deserta, mi fosse venuto a cercare.
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