A tavola non si parla di politica. È una regola del bon ton, che tuttavia ha fatto fatica ad essere rispettata, ancor più nell'ultimo giorno dell'anno passato, dove le cronache parlavano insistentemente della legge di bilancio approvata in extremis. E la coralità dei commenti sembra sia stata diretta a sfrucugliare sui benefici per i microbirrifici e sull'Iva ridotta ai raccoglitori di tartufi. Vabbè... C'è poi il discorso del capo dello Stato, che è sceso nel bel mezzo del cenone di Capodanno. Ed è stato quanto mai appropriato, visto che ha voluto mettere in rilievo il senso di comunità, che poi significa la mutua attenzione verso tutte le fasce di una popolazione: dai giovani agli anziani. Mattarella, all'inizio e alla fine, ha posto l'accento su una questione rilevante come l'unità del Paese, di cui è garante, e sul sogno di un futuro positivo, ricordando che sogni e speranze non possono essere relegati nei confini dell'infanzia (della serie: «Se non ritornerete come bambini...»). Ma non sono mancati cenni ed anche esempi vissuti di solidarietà, che han fatto parte del completamento di quel discorso sul senso di una comunità. E qui la lettura maliziosa fa subito pensare alla mannaia sul non profit... (Ehi, non si parla di politica a tavola!). Ancor più quando Mattarella ha invitato ad un'attenta verifica dei contenuti del provvedimento appena firmato. La sera a cena, sulla mia tavola con familiari e amici di sempre c'era un pane buonissimo, prodotto da un'impresa sociale di Padova, Sobon, che mi ha colpito per lo slogan con cui son soliti presentarsi: "La fragilità produce qualità". Sembrava la sintesi del discorso di Mattarella: si può partire da una situazione fragile, se come meta si ha un obiettivo buono. Buono come il pane, buono come quella tavola italiana che è luogo del sentirsi insieme, «del pensarsi una comunità che vuole costruire un futuro comune». Tutto questo lo abbiamo sotto gli occhi quasi tutti i giorni, anche se non ce ne accorgiamo. È nel Dna del nostro Paese, ma poi la si butta subito in polemica. E non dico "politica" perché purtroppo questa parola non sembra più essere qualcosa che ci riguarda da protagonisti. Pensando a quel pane di timilia, grano siciliano dal sapore pronunciato, ho capito allora perché non bisognava parlare di politica a tavola. La politica bisogna viverla, magari cominciando dallo stupore per un pane buono che puoi sempre condividere con qualcuno. Un pane dietro cui c'è quella vita del fare, più che del pensare, che può essere lo scatto di un anno diverso.
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