È uno dei dipinti preferiti di Papa Francesco, oltre ad essere uno dei capolavori dell'arte del Novecento: la Crocefissione bianca di Chagall, un dipinto del 1938, l'anno della Notte dei cristalli. Un Cristo ebreo sulla croce, avvolto invece del perizoma in uno scialle di preghiera, il talled, riempie il centro del quadro, mentre intorno infuriano le persecuzioni, le fiamme, la violenza. Gli ebrei fuggono, fugge l'ebreo errante con il sacco sulle spalle, fugge l'ebreo che porta in salvo i rotoli della Torah. Una menorah è accesa di fronte al Cristo, mentre tre ebrei nel talled e una donna lo piangono dal cielo, come gli angeli piangenti di Giotto. Simboli ebraici e cristiani, mescolati e riletti dall'arte. Una rilettura in chiave ebraica o cristiana? Che importa? Un quadro che offre infinite vie di interpretazioni, fitto di tracce lasciate a segnare il cammino. Rileggendo una di queste tracce, l'ebreo che fugge con il sacco sulle spalle, presente in tante opere di Chagall, un sottile antropologo come Marcello Massenzio ha ripercorso la storia del mito dell'ebreo errante, che da simbolo negativo dell'ebreo schernitore di Cristo è divenuto nella modernità simbolo positivo di un' identità sempre errante, sempre sul confine.
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