«Armò la pistola e la puntò verso il cielo sopra la baia e premette il grilletto. Il razzo salì ad arco nel buio con un lungo sibilo ed esplose da qualche parte sopra il mare aperto. “Da molto lontano non lo vedrebbero, vero, papà?” “Chi?” “Chiunque”. “No. Da molto lontano, no”. “Se volessimo far capire a qualcuno dove siamo”. “Ai buoni, intendi?” “Sì. O a qualcuno a cui vogliamo dire che siamo qui?” “Tipo chi?” “Non lo so”. “Tipo Dio?” “Sì, per esempio, una cosa così”».
Questo è uno dei tanti dialoghi di cui è intessuto La strada (Einaudi), capolavoro narrativo dell'americano Cormac McCarthy. Romanzo apocalittico, nel senso di svelamento delle cose ultime, un romanzo in cui un padre e un figlio camminano in un mondo dopo la fine del mondo alla ricerca di una possibile redenzione.
E in questo scenario post-apocalittico i due - che assurgono alle sembianze delle due figure della Trinità, visto che «portano il fuoco», simbolo dello Spirito - fanno balenare l'esperienza di Dio, il «buono» per eccellenza, che noi pensiamo non possa captare le nostre richieste di aiuto. Ma invece, come altrove McCarthy ci ha insegnato, «Lui ci sta attento. Altrimenti non saremmo in grado di sopravvivere un giorno». Questa è la certezza di chi crede: che Dio è un padre e che quel che facciamo lo riguarda. E ci guarda.
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