C'è un vuoto a forma di Dio nel cuore di ogni persona e non può mai essere riempito da nessuna cosa.
Tempo fa ho letto con gusto un libro raffinato e molto "mirato", la Breve storia del verbo essere di Andrea Moro, pubblicato da Adelphi. Si tratta, infatti, del termine che intreccia nel suo coniugarsi all'interno del linguaggio umano non solo la lingua e la logica, ma anche la filosofia, la matematica e persino la teologia, dato che Dio stesso si rivela a Mosè così: «Io sono colui che sono» (Esodo 3,14). Ebbene, in apertura a quel volume l'autore poneva la frase affascinante che sopra ho trascritto, aggiungendo questa precisazione: «citazione apocrifa di Pascal». Certo, come accadde a sant'Agostino, un pensatore folgorante, così anche il celebre filosofo e scienziato francese non poteva non generare un flusso di imitatori che gli assegnavano aforismi o riflessioni inventate.
È vero, tuttavia, che è propria di Pascal l'esaltazione delle «ragioni del cuore che la ragione non conosce» (Pensieri n. 477 ed. Chevalier). Qui, però, si introduce un'ulteriore tappa: il cuore umano ha un tale abisso di profondità da poter essere colmato solo da Dio, cioè dall'Infinito e dall'Eterno. Vanamente la persona cerca di riempire questa sorta di buco dell'anima con le cose, coi piaceri, con le distrazioni. Ma queste realtà al massimo possono placare lo stomaco e i sensi; mai riescono anche solo a sopire l'attrazione che quell'assenza esercita, rendendoci sempre in tensione e insoddisfatti. Lo stesso desiderio umano, che è insaziabile, è la testimonianza di questo vuoto che anela e che nulla, tranne Dio, riesce a saturare.
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