Più volte in questi giorni, dopo la lettura dei documenti concernenti Giovanni Falcone, ora liberamente consultabili in rete, mi sono chiesto come il grande magistrato siciliano abbia percepito, nell'ultimo periodo della sua vita, il Csm: come l'organo posto a garanzia dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura, ovvero come una struttura dalla quale guardarsi. Nelle occasioni in cui venne convocato al Csm, Falcone si trovò di fronte a un consesso che faticò non poco (salvo lodevoli e meritorie eccezioni) a cogliere il nucleo del suo apporto al contrasto del fenomeno mafioso.
Si trattava di una strategia articolata su tre essenziali assunti di base: a) Cosa nostra è un fenomeno unitario e coordinato, dunque parimenti unitaria e coordinata deve essere l'azione di contrasto; b) le mafie intrecciano legami con altre organizzazioni criminali, occulte e non, italiane e non, dunque chi ha il compito di combatterle deve sapersi muovere a livello internazionale; c) avviare processi penali senza adeguati riscontri probatori contrasta con precisi disposti costituzionali e nuoce alla credibilità della magistratura e dello Stato, dunque l'iniziativa penale va calibrata attentamente, e il senso di responsabilità del magistrato deve sempre prevalere sulle soggettive preferenze etico-politiche. Assunti che mi paiono ancora utili e da essi si possono ricavare corollari che interessano ogni cittadino consapevole e attivo.
In primo luogo, le istituzioni e le persone che tempo per tempo le rappresentano, a qualunque livello, non devono mai essere (o essere percepite) come distratte rispetto ai fenomeni mafiosi. La forza delle istituzioni sta nella continuità e nell'autorevolezza dell'impegno. Secondo, la verità giudiziaria (che talvolta, specie nei processi di mafia, è difficile da raggiungere) non va mai negata, al più può venire integrata: il processo sulla strage di Capaci ha dato alcune risposte inequivoche, altre possono e devono essere cercate. Senza teoremi astratti, ma anche senza lasciar cadere nulla. Terzo, nella confusione delle informazioni, è decisiva la capacità di stare ai fatti e di non indulgere a ricostruzioni addomesticate. Pensiamo all'immagine, rispolverata in questi giorni, di Falcone sostenitore della separazione ordinamentale tra giudice e pubblico ministero, quando, com'è noto, vedeva bene la specializzazione dei magistrati requirenti, oltre che un certo grado di compattezza interna agli uffici del pm, ma dentro l'orizzonte costituzionale. Quel che possiamo chiamare, con approssimazione e sapendo che all'interessato l'espressione non piaceva molto, "metodo Falcone", risulta ancora utile e non solo ai magistrati.
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