martedì 31 marzo 2020
«Nel nome della Legge la dichiaro dottore... Votazione 110 e lode. Complimenti».
Non la immaginavo così, la laurea di un figlio. Laurea in streaming, i professori a casa e lo studente chiuso nell'appartamento che condivide con dei compagni. Collegati on line e ripresi da un amico su Zoom – ciò che permette a noi, dal pc di casa, di assistere.
Il figlio è emozionato. Avevo faticato per mandargli l'abito, e una cravatta. I capelli sono un po' lunghi, nell'assenza di barbieri. Inizia la discussione. Lui è teso ma concentrato, parla senza esitazioni. Lo ascolto e penso a quale lungo viaggio arriva alla méta, stamane: viaggio iniziato con le fiabe della buonanotte, i giochi all'asilo, e le prime "a" vergate a matita sui quaderni a righe larghe, e le tabelline.
E geografia e mappamondi, e ricerche e domande, e libri. E viaggi, come quella volta che a Creta portai lui e i suoi fratelli bambini a vedere il labirinto del Minotauro: e loro zitti, meravigliati davanti a un mito uscito dalle pagine dei libri. È un viaggio di oltre vent'anni che si condensa nei quaranta minuti della discussione in streaming, al tempo del Covid. Ma io quasi fatico a seguirla, perché m'incanto sulle mani del figlio, che nel parlare le muove, magre e nervose, esattamente come le muoveva mio fratello, che ora non c'è più. E Dio, quanto gli somiglia.
110 e lode, il collegamento si chiude e si apre quello con decine di amici. Applausi, urla, baci. Il rito del salto della siepe è in cortile, poi brindisi con i tre compagni co-reclusi: e come sorridono, in questo marzo 2020, pure nel picco del coronavirus. Pensavo sarebbe stata una laurea triste. Invece è stata più commovente che una laurea normale: con la speranza dei 24 anni che, incontenibile, esondava dai piccoli schermi dei pc.
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