sabato 8 aprile 2023
In San Pietro risuona l’invito a non farsi bloccare dal rimpianto: a volte impotenti di fronte ai venti gelidi di guerra. «Guardiamo con speranza al futuro». Battezzati 8 adulti - L'omelia integrale
Papa Francesco in unmomento della Veglia Pasquale

Papa Francesco in unmomento della Veglia Pasquale - Ansa

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Questa è la notte. Risuona nella Basilica Vaticana il canto dell’Exultet e si diffonde in tutto il mondo la Notizia. Cristo è risorto. Dunque la morte è vinta. E il Papa sottolinea: «Ecco che cosa fa la Pasqua del Signore: ci spinge ad andare avanti, a uscire dal senso di sconfitta, a rotolare via la pietra dei sepolcri in cui spesso confiniamo la speranza, a guardare con fiducia al futuro, perché Cristo è risorto e ha cambiato la direzione della storia».

Francesco presiede la Veglia pasquale (mentre il cardinale Arthur Roche, prefetto per il Culto Divino presenzia alla liturgia eucaristica), dopo aver seguito la via Crucis del Colosseo prudenzialmente da Casa Santa Marta, venerdì sera, per il freddo tutt’altro che primaverile di questi giorni. Ma sotto la cupola michelangiolesca, con ottomila fedeli, il clima è quello dei momenti importanti. E importante è l’appello del Pontefice: «Ognuno torni alla propria Galilea, quella del primo incontro con Cristo, e risorgiamo a vita nuova».

Certo, fuori i problemi non mancano. Papa Bergoglio, nell’omelia che Avvenire pubblica integralmente disegna con realismo il panorama del mondo «muro di gomma» dove «sembrano prevalere sempre le leggi del più furbo e del più forte», dove «ci siamo sentiti impotenti e scoraggiati dinanzi al potere del male, ai conflitti che lacerano le relazioni, alle logiche del calcolo e dell’indifferenza che sembrano governare la società, al cancro della corruzione (e ce n’è tanta), al dilagare dell’ingiustizia, ai venti gelidi della guerra». Un mondo, prosegue Francesco, in cui «ci siamo forse trovati faccia a faccia con la morte, perché ci ha tolto la dolce presenza dei nostri cari o perché ci ha sfiorato nella malattia o nelle calamità, e facilmente siamo rimasti preda della disillusione e si è disseccata la sorgente della speranza». Ma non dobbiamo fermarci al sepolcro. Mai restare «immobili a piangere e a rimpiangere, soli e impotenti a ripeterci i nostri “perché”».

L’esortazione del Papa è a camminare verso la Galilea, dove il Risorto dà appuntamento ai discepoli. E a ricordare la Galilea, dove tutto è iniziato. «Ricorda e cammina».

Che cosa significa? Andare in Galilea vuole dire due cose. «Da una parte uscire dalla chiusura del cenacolo per andare nella regione abitata dalle genti». In altri termini «uscire dal nascondimento per aprirsi alla missione, evadere dalla paura per camminare verso il futuro». Dall’altra parte, «significa ritornare alle origini. Lì il Signore aveva incontrato e chiamato per la prima volta i discepoli. Dunque - spiega il Pontefice - andare in Galilea è tornare alla grazia originaria, è riacquistare la memoria che rigenera la speranza, la “memoria del futuro” con la quale siamo stati segnati dal Risorto».

È il migliore antidoto, fa notare il Papa, alla mentalità delle «tombe sigillate». Cioè «le nostre delusioni, le nostre amarezze e la nostra sfiducia». Quell’atteggiamento che ci porta spesso a dire e a pensare in termini di «“non c’è più niente da fare”, “le cose non cambieranno mai”, “meglio vivere alla giornata” perché “del domani non c’è certezza”».

Invece la Pasqua del Signore «ci riporta al nostro passato di grazia, ci fa riandare in Galilea, là dov’è iniziata la nostra storia d’amore con Gesù. Ci chiede, cioè, - prosegue Francesco - di rivivere quel momento, quella situazione, quell’esperienza in cui abbiamo incontrato il Signore, abbiamo sperimentato il suo amore e abbiamo ricevuto uno sguardo nuovo e luminoso su noi stessi, sulla realtà, sul mistero della vita».

Non è un caso che la Veglia pasquale inizi proprio con la benedizione del fuoco e la preparazione del cero pasquale. Nella penombra dell’atrio della Basilica Vaticana questa prima suggestiva liturgia simboleggia la lotta fra le tenebre e la luce, tra la morte e la vita. E alla fine saranno proprio, grazie alla Risurrezione del Signore, vita e prevalere.

Durante la processione verso l’Altare, lungo la navata centrale della Basilica, con il cero pasquale acceso e il canto dell’Exultet, la luce si diffonde di candela in candela, fino all’accensione di tutti i riflettori. E finalmente risuona prima l’Exultet, poi durante la liturgia della Parola il Gloria, accompagnato dal suono delle campane, infine, prima del Vangelo l’Alleluja, che non si era più udito per tutta la Quaresima.

Fa seguito la liturgia battesimale, nel corso della quale il Papa battezza otto catecumeni provenienti da Albania (tre), Stati Uniti d’America (due), Nigeria, Italia e Venezuela. Per loro i luogo dell’origine della fede.

Papa Francesco, nell’omelia, completa infatti il suo commento al Vangelo della Risurrezione e sottolinea: «Per risorgere, per ricominciare, per riprendere il cammino, abbiamo sempre bisogno di ritornare in Galilea, cioè di riandare non a un Gesù astratto, ideale, ma alla memoria viva, concreta e palpitante del primo incontro con Lui. Sì, fratelli e sorelle, per camminare dobbiamo ricordare; per avere speranza dobbiamo nutrire la memoria. Questo è l’invito: ricorda e cammina! Se recuperi il primo amore, andrai avanti».

Per ognuno infatti c’è una propria Galilea personale. «È il “luogo” nel quale hai conosciuto Gesù di persona, dove per te Egli non è rimasto un personaggio storico come altri, ma è divenuto la persona della vita: non un Dio lontano, ma il Dio vicino, che ti conosce più di ogni altro e ti ama più di chiunque altro». Oggi infatti «la forza di Pasqua invita a rotolare via i massi della delusione e della sfiducia; il Signore, esperto nel ribaltare le pietre tombali del peccato e della paura - conclude il Papa - , vuole illuminare la tua memoria santa».

L'omelia di papa Francesco​

La notte sta per finire e si accendono le prime luci dell’alba, quando le donne si mettono in cammino verso la tomba di Gesù. Avanzano incerte, smarrite, con il cuore lacerato al dolore per quella morte che ha portato via l’Amato. Ma, giungendo presso quel luogo e vedendo la tomba vuota, invertono la rotta, cambiano strada; abbandonano il sepolcro e corrono ad annunciare ai discepoli un percorso nuovo: Gesù è risorto eli attende in Galilea. Nella vita di queste donne è avvenuta la Pasqua, che significa passaggio: esse, infatti, passano dal mesto cammino verso il sepolcro alla gioiosa corsa verso i discepoli, per dire loro non solo che il Signore è risorto, ma che c’è una meta da raggiungere subito, la Galilea. L’appuntamento col Risorto è lì, lì conduce la Risurrezione. La rinascita dei discepoli, la risurrezione del loro cuore passa dalla Galilea. Entriamo anche noi in questo cammino dei discepoli che va dalla tomba alla Galilea.

Le donne, dice il Vangelo, «andarono a visitare la tomba» (Mt 28,1). Pensano che Gesù si trovi nel luogo della morte e che tutto sia finito per sempre. A volte succede anche a noi di pensare che la gioia dell’incontro con Gesù appartenga al passato, mentre nel presente conosciamo soprattutto delle tombe sigillate: quelle delle nostre delusioni, delle nostre amarezze e della nostra sfiducia, quelle del “non c’è più niente da fare”, “le cose non cambieranno mai”, “meglio vivere alla giornata” perché “del domani non c’è certezza”. Anche noi, se siamo stati attanagliati dal dolore, oppressi dalla tristezza, umiliati dal peccato, amareggiati per qualche fallimento o assillati da qualche preoccupazione, abbiamo sperimentato il gusto amaro della stanchezza e abbiamo visto spegnersi la gioia nel cuore.

A volte abbiamo semplicemente avvertito la fatica di portare avanti la quotidianità, stanchi di rischiare in prima persona davanti al muro di gomma di un mondo dove sembrano prevalere sempre le leggi del più furbo e del più forte. Altre volte, ci siamo sentiti impotenti e scoraggiati dinanzi al potere del male, ai conflitti che lacerano le relazioni, alle logiche del calcolo e dell’indifferenza che sembrano governare la società, al cancro della corruzione, al dilagare dell’ingiustizia, ai venti gelidi della guerra. E, ancora, ci siamo forse trovati faccia a faccia con la morte, perché ci ha tolto la dolce presenza dei nostri cari o perché ci ha sfiorato nella malattia o nelle calamità, e facilmente siamo rimasti preda della disillusione e si è disseccata la sorgente della speranza. Così, per queste o altre situazioni, i nostri cammini si arrestano davanti a delle tombe e noi restiamo immobili a piangere e a rimpiangere, soli e impotenti a ripeterci i nostri “perché”.

Invece, le donne a Pasqua non restano paralizzate davanti a una tomba ma, dice il Vangelo, «abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli» (v. 8). Portano la notizia che cambierà per sempre la vita e la storia: Cristo è risorto! (cfr v. 6). E, al tempo stesso, custodiscono e trasmettono la raccomandazione del Signore, il suo invito ai discepoli: che vadano in Galilea, perché là lo vedranno (cfr v. 7). Ma che cosa significa andare in Galilea? Due cose: da una parte uscire dalla chiusura del cenacolo per andare nella regione abitata dalle genti (cfr Mt 4,15), uscire dal nascondimento per aprirsi alla missione, evadere dalla paura per camminare verso il futuro. Dall’altra parte, significa ritornare alle origini, perché proprio in Galilea tutto era iniziato. Lì il Signore aveva incontrato e chiamato per la prima volta i discepoli. Dunque andare in Galilea è tornare alla grazia originaria, è riacquistare la memoria che rigenera la speranza, la “memoria del futuro” con la quale siamo stati segnati dal Risorto.

Ecco allora che cosa fa la Pasqua del Signore: ci spinge ad andare avanti, a uscire dal senso di sconfitta, a rotolare via la pietra dei sepolcri in cui spesso confiniamo la speranza, a guardare con fiducia al futuro, perché Cristo è risorto e ha cambiato la direzione della storia; ma, per fare questo, la Pasqua del Signore ci riporta al nostro passato di grazia, ci fa riandare in Galilea, là dov’è iniziata la nostra storia d’amore con Gesù. Ci chiede, cioè, di rivivere quel momento, quella situazione, quell’esperienza in cui abbiamo incontrato il Signore, abbiamo sperimentato il suo amore e abbiamo ricevuto uno sguardo nuovo e luminoso su noi stessi, sulla realtà, sul mistero della vita. Per risorgere, per ricominciare, per riprendere il cammino, abbiamo sempre bisogno di ritornare in Galilea, cioè di riandare non a un Gesù astratto, ideale, ma alla memoria viva, concreta e palpitante del primo incontro con Lui. Sì, fratelli e sorelle, per camminare dobbiamo ricordare; per avere speranza dobbiamo nutrire la memoria. Questo è l’invito: ricorda e cammina!

Se recuperi il primo amore, lo stupore e la gioia dell’incontro con Dio, andrai avanti. Ricorda e cammina.

Ricorda la tua Galilea e cammina verso la tua Galilea. È il “luogo” nel quale hai conosciuto Gesù di persona, dove per te Egli non è rimasto un personaggio storico come altri, ma è divenuto la persona della vita: non un Dio lontano, ma il Dio vicino, che ti conosce più di ogni altro e ti ama più di chiunque altro. Fratello, sorella, fai memoria della Galilea, della tua Galilea: della tua chiamata, di quella Parola di Dio che in un preciso momento ha parlato proprio a te; di quell’esperienza forte nello Spirito, della più grande gioia del perdono provata dopo quella Confessione, di quel momento intenso e indimenticabile di preghiera, di quella luce che si è accesa dentro e ha trasformato la tua vita, di quell’incontro, di quel pellegrinaggio... Ciascuno di noi conosce il proprio luogo di risurrezione interiore, quello iniziale, quello fondante, quello che ha cambiato le cose. Non possiamo lasciarlo al passato, il Risorto ci invita ad andare lì per fare la Pasqua. Ricorda la tua Galilea, fanne memoria, ravvivala oggi. Torna a quel primo incontro. Chiediti come è stato e quando è stato, ricostruiscine il contesto, il tempo e il luogo, riprovane l’emozione e le sensazioni, rivivine i colori e i sapori. Perché è quando hai dimenticato quel primo amore, è quando hai scordato quel primo incontro che è cominciata a depositarsi della polvere sul tuo cuore. E hai sperimentato la tristezza e, come per i discepoli, tutto è sembrato senza prospettiva, con un macigno a sigillare la speranza. Ma oggi la forza di Pasqua invita a rotolare via i massi della delusione e della sfiducia; il Signore, esperto nel ribaltare le pietre tombali del peccato e della paura, vuole illuminare la tua memoria santa, il tuo ricordo più bello, rendere attuale il primo incontro con Lui. Ricorda e cammina: ritorna a Lui, ritrova la grazia della risurrezione di Dio in te!

Fratelli, sorelle, seguiamo Gesù in Galilea, incontriamolo e adoriamolo lì dove Egli attende ognuno di noi. Ravviviamo la bellezza di quando, dopo averlo scoperto vivo, lo abbiamo proclamato Signore della nostra vita. Torniamo in Galilea, ognuno torni alla propria Galilea, quella del primo incontro, e risorgiamo a vita nuova!


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