martedì 10 novembre 2020
Pubblicato il Report promesso due anni fa dal Papa. 445 pagine di indagini sugli archivi e 90 interviste. Smontate le accuse dell'ex nunzio a Francesco. Parolin: "Episodi simili non si ripetano"
Un ritratto d'archivio di Theodore McCarrick

Un ritratto d'archivio di Theodore McCarrick - Siciliani

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La verità sul caso Theodore McCarrick, l’ex cardinale e arcivescovo di Washington dimesso dallo stato clericale a seguito dei suoi abusi su minori, è contenuta in un Rapporto di 445 pagine pubblicato oggi dalla Santa Sede, dopo due anni di indagini negli archivi della Segreteria di Stato, di diversi dicasteri della Curia Romana (Dottrina della Fede, Culto divino e disciplina dei Sacramenti, Vescovi e Clero), della Nunziatura negli Usa e nelle diocesi in cui l’ex porporato svolse il suo ministero. Un lavoro accurato e approfondito, che si avvale anche delle risultanze di oltre 90 interviste testimoniali, di durata variabile tra una trenta ore, che da un lato trasforma in realtà la promessa fatta a suo tempo da papa Francesco di fare piena luce dopo le gravi accuse che gli erano state rivolte dall’ex nunzio negli Stati Uniti, Carlo Maria Viganò, dall’altro dimostra quanto quelle accuse (aver coperto i crimini di McCarrick, con conseguente richiesta di dimissioni del Pontefice) si siano rivelate infondate alla prova dei fatti. Al contrario, anzi, non appena c’è stata (nel giugno 2017) un’accusa ritenuta credibile nei confronti dell’allora porporato di aver abusato di un minore negli anni ’70, papa Bergoglio ha fatto aprire il processo canonico che ha portato alla condanna e alle note sanzioni nei confronti dell’ex ecclesiastico statunitense.

Imparare dagli errori

Il Rapporto sulla conoscenza istituzionale e il processo decisionale della Santa Sede riguardante l’ex cardinale Theodore Edgar McCarrick (dal 1930 al 2017), pubblicato dalla Segreteria di Stato, non ha tuttavia come scopo quello di accertare i crimini commessi dallo stesso McCarrick, quanto piuttosto comprendere come mai un personaggio con simili riprovevoli condotte sia potuto arrivare a ricoprire un ruolo così importante nella gerarchia ecclesiastica. E questo, come afferma il segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin in una dichiarazione diffusa insieme con il Rapporto, “per assicurare maggiore attenzione alla tutela dei minori e interventi più efficaci per evitare che certe scelte avvenute in passato possano ripetersi”. Una eventualità questa che recenti misure adottate dalla Santa Sede (come diremo in seguito) stanno già contrastando efficacemente. Ma come sottolinea lo stesso Parolin, anche se “nessuna procedura, anche la più perfezionata, è esente da errori, perché coinvolge le coscienze e le decisioni di uomini e donne”, il Rapporto “avrà degli effetti anche in questo: nel rendere tutti coloro che sono coinvolti in tali scelte più consapevoli del peso delle proprie decisioni o delle omissioni. Sono pagine che ci spingono a una profonda riflessione e a chiederci – conclude il Segretario di Stato – che cosa possiamo fare di più in futuro, imparando dalle dolorose esperienze del passato”.

Perché McCarrick ha fatto “carriera”?

Come è dunque potuto accadere che McCarrick sia arrivato fino alla cattedra di Washington e alla porpora cardinalizia? I fatti ricostruiti nelle 445 pagine del Rapporto risalgono fino alla nomina a vescovo nel 1977 e toccano dunque quattro pontificati. Fu infatti Paolo VI a nominare l’allora sacerdote ausiliare di New York. All’epoca “la maggior parte di coloro che vennero consultati per l’indagine canonica raccomandarono caldamente McCarrick per l’episcopato. Nessuno riferì di aver assistito o sentito parlare del fatto che si comportasse in modo improprio , né con adulti, né con minori”.

La stessa cosa avvenne nel 1981 e nel 1986 quando Giovanni Paolo II lo promosse prima a vescovo di Metuchen e quindi ad arcivescovo di Newark. Anzi, affermano gli autori del Rapporto, “durante il processo di nomina, McCarrick fu ampiamente lodato come vescovo pastorale, intelligente e zelante”. Nel due sedi diocesane a lui affidate si distinse poi “come gran lavoratore, attivo sulla scena nazionale e internazionale e buon raccoglitore di fondi”, anche per la Santa Sede (ma questa sua abilità non ha avuto alcuna influenza nella nomina a Washington).

Il punto di svolta si ha nel 2000, cioè nell’anno della sua nomina ad arcivescovo di Washington, con la conseguente porpora all’inizio del 2001. Nel frattempo erano cominciate a circolare sul suo conto voci non provate di condotte sessuali riprovevoli che erano state riassunte in una lettera dell’allora arcivescovo di New York, cardinale Joseph O’Connor, al nunzio apostolico dell’epoca e portate a conoscenza di Giovanni Paolo II. La lettera è datata 28 ottobre 1999. In pratica si trattava dell’accusa di un sacerdote “Prete 1” della diocesi di Metuchen (la sua identità non viene resa nota nel Rapporto per motivi di privacy) che aveva notato l’attività sessuale di McCarrick con un altro sacerdote nel giugno del 1987 e che asseriva di aver ricevuto egli stesso degli approcci dal prelato; di alcune lettere anonime inviate alla Conferenza Episcopale Usa al nunzio e a vari cardinali statunitensi che accusavano McCarrick di “pedofilia con suoi ‘nipoti’”. “Si sapeva – afferma il Rapporto – che McCarrick avesse condiviso il letto con giovani uomini adulti nella residenza del vescovo a Metuchen e Newark” e che lo stesso avesse fatto “con seminaristi adulti in una casa al mare sulla costa del New Jersey”.

In seguito a questa circostanza si giunge alla conclusione che “sarebbe stato imprudente trasferirlo da Newark ad altra Sede. E ciò per tre volte: Chicago (1997), New York (1999-2000) e in un primo momento per Washington (luglio 2000). Giovanni Paolo II infatti, inseguito alla lettera di O’Connor, aveva chiesto di indagare sulla vicenda e perciò da maggio a giugno del 2000 l’allora nunzio negli Usa, monsignor Gabriel Moltalvo, “interpello per iscritto – si legge nel Rapporto – quattro vescovi del New Jersey”. Le loro risposte “confermarono che McCarrick aveva condiviso il letto con giovani uomini, ma non indicavano con certezza che avesse tenuto una qualche cattiva condotta sessuale. Ciò che si sa ora, grazie alle indagini compiute per la preparazione del Rapporto, è che tre dei quattro vescovi americano fornirono alla Santa Sede informazioni non accurate e, inoltre, incomplete circa la condotta di McCarrick con giovani adulti”. Come scrive il direttore editoriale di Vatican News, Andrea Tornielli, in un articolo pubblicato a latere del Rapporto, in seguito a queste informazioni, “il Papa che pure conosceva McCarrick fin dal 1976 per averlo incontrato durante un suo viaggio negli Usa, accoglie la proposta avanzata da Montalvo e dall’allora prefetto della Congregazione per i vescovi Giovanni Battista Re, di lasciar cadere la candidatura. Pur in assenza di elementi circostanziati, non si doveva correre il rischio, trasferendo il prelato a Washington, che le accuse, seppure ritenute prive di consistenza, potessero riaffiorare provocando imbarazzo e scandalo”.

La lettera “spergiura” di McCarrick

A cambiare le carte in tavola è però una lettera che lo stesso Mcarrick scrive a all’allora segretario particolare di Giovanni Paolo II, monsignor Stanislaw Dziwisz. Egli è probabilmente venuto a conoscenza delle riserve sul suo conto e il 6 agosto 2000 afferma solennemente nella missiva: “Nei settanta anni della mia vita, non ho mai avuto rapporti sessuali con alcuna persona, maschio o femmina, giovane o vecchio, chierico o laico, né ho mai abusato di un’altra persona o l’ho trattata con mancanza di rispetto”.

Le motivazioni di Giovanni Paolo II

Di fronte a un’affermazione così gravemente impegnativa della coscienza (poi risultata come sappiamo uno spergiuro) Giovanni Paolo II, al quale la lettera viene consegnata, si convince che le accuse contro McCarrick sono infondate e lo fa riammettere nella terna, scegliendolo poi come arcivescovo di Washington. E’ però lo stesso Rapporto a chiarire che la scelta del Papa santo fu fatta in perfetta buona fede, per una serie di motivi tutti comprensibili:

1. Al momento della nomina “la Santa Sede non aveva mai ricevuto alcuna notizia diretta da parte di una qualche vittima, maggiorenne o minorenne”.

2. “Prete 1, unica persona che aveva denunciato il vescovo, “fu considerato un informatore inaffidabile, anche perché lui stesso aveva precedentemente abusato di due adolescenti. Inoltre la Santa Sede non ricevette mai alcuna dichiarazione firmata da Prete 1 riguardante le sue accuse contro Mc Carrick”.

3. “Sebbene McCarrick avesse definito ‘imprudente’ la condivisione del letto con seminaristi nella casa al mare, egli insistette sul fatto di aver mai avuto rapporti sessuali e che le affermazioni contrarie erano state fatte per screditarlo anche politicamente.

4. Giovanni Paolo II conosceva McCarrick da oltre due decenni. E nel frattempo l’arcivescovo era stato riconosciuto come un presule “eccezionalmente laborioso ed efficace, in gradi di gestire incarichi delicati e complessi, sia in Usa che in alcune parti più difficili del mondo, compreso l’ex blocco sovietico e in particolare la Jugoslavia”.

5. “Sebbene manchino prove dirette – sottolinea ancora il Rapporto -, in base agli elementi acquisiti, sembra potersi presumere che la passata esperienza di Giovanni Paolo II in Polonia, relativa al ricorso a false accuse contro i vescovi per minare il ruolo della Chiesa, abbia inciso sulla sua inclinazione a dare credito alle smentite di McCarrick”.

Le raccomandazioni (non sanzioni) di Benedetto XVI

Si giunge così al Pontificato di Benedetto XVI. Il Rapporto chiarisce che all’inizio papa Ratzinger aveva a disposizione più o meno le stesse informazioni del suo predecessore. E che su raccomandazione del nunzio apostolico e della Congregazione per i vescovi prolungò di due anni il mandato di McCarrick a Washington. Ma alla fine del 2005 nuove acquisizioni in relazione alle accuse di “Prete 1”, fecero cambiare orientamento e al cardinale fu chiesto di dimettersi dopo la Pasqua del 2006. E qui entra in scena anche l’ex nunzio Viganò, sulla cui ricostruzione dei fatti nel famoso atto di accusa verso papa Francesco, il Rapporto fa piena luce dimostrandone anche in questo caso l’infondatezza. Viganò infatti affermò che Benedetto XVI aveva irrogato delle sanzioni canoniche nei confronti dell’ormai ex arcivescovo di Washington, che Marrick avrebbe ignorato. Le cose non andarono effettivamente così.

Viganò, durante il suo servizio in Segreteria di Stato scrisse due appunti di ufficio (nel 2006 e nel 2008), riconoscendo che non c’erano prove ma suggerendo che si sarebbe potuto aprire un processo canonico per accertare la verità ed eventualmente imporre una “misura esemplare”. Il sostituto l’arcivescovo Leonardo Sandri e il segretario di Stato cardinale Tarcisio Bertone portarono la questione a Benedetto XVI, ma si decise di “fare appello alla coscienza e allo spirito ecclesiale di McCarrick, indicandogli che, per il bene della Chiesa, avrebbe dovuto mantenere un basso profilo e ridurre al minimo i viaggi. Il cardinale Re, prefetto della congregazione per i vescovi, incaricò il nunzio Sambi di trasmettere verbalmente queste indicazioni a McCarrick. E poi nel 2008 le trasmise anche per iscritto al diretto interessato. Non c’era però un divieto di ministero pubblico. Secondo gli estensori del Rapporto, i fattori che influirono sulla decisione di Benedetto XVI furono quattro: “Non c’erano accuse credibili di abusi sui minori; McCarrick dichiarò nuovamente, sul suo giuramento di vescovo, che le accuse erano false; gli addebiti di cattiva condotta con adulti si riferivano a fatti accaduti negli anni ’80; e non vi erano indicazioni di alcuna cattiva condotta recente”. L’ex arcivescovo di fatto continuò i suoi viaggi e la sua attività, mettendone al corrente sia il nunzio Sambi, sia, dal 2011 il suo successore monsignor Viganò. Tuttavia verso la fine del pontificati di Benedetto XVi emergono altri particolari e soprattutto l’accusa di “Prete 3”, un altro sacerdote, che avvisò il nunzio di aver introdotto la causa asserendo di aver avuto rapporto sessuali con McCarrick. Viganò scrisse al cardinale Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi nel 2012 e Ouellet gli chiese di accertare se quelle accuse erano credibili. Cosa che non risulta Viganò abbia fatto.

Le accuse di Viganò a Francesco del tutto infondate

McCarrick continuò a rimanere attivo e si giunge così all’elezione di papa Francesco. Nessuna delle precedenti indicazioni viene modificata e nel periodo 2013-2017. Nessuno, afferma il rapporto, “ha fornito al Pontefice alcune documentazione relativa agli addebiti contro McCarrick. Papa Francesco aveva sentito dire soltanto che c’erano stati addebiti e voci relativi a una condotta immorale con adulti, avvenuta prima delle nomina di McCarrick a Washington. Ritenendo che le accuse fossero già state esaminate e respinte da Giovanni Paolo II, benché consapevole che McCarrick fosse in attività durante il Pontificato di Benedetto XVI, Francesco non vide la necessità di modificare la linea adottata negli anni precedenti.

Quanto all’affermazione di Viganò di aver fatto menzione della questione di McCarrick negli incontri con il Santo Padre del giugno e dell’ottobre 2013, “nessun documento – sottolinea il Rapporto – supporta il racconto di Viganò, e le prove su ciò che ha detto sono oggetto di ampia disputa. Papa Francesco – prosegue la ricostruzione – ha ricordato una breve conversazione su Mc Carrick con il sostituto Becciu e non ha escluso la possibilità di uno scambio altrettanto breve con il cardinale Parolin”. Nessun colloquio sulla questione invece con Ouellet e con Benedetto XVI, prima del 2018. Poi quando nel giugno 2017 l’arcidiocesi di New York apprende la prima accusa conosciuta di abuso sessuale di una vittima di età inferiore ai 18 anni compiuto da McCarrick agli inizi degli anni ’70, si apre il processo canonico e il resto è storia recente.

Cosa si impara dalla vicenda

Il Rapporto, oltre al fare luce sul passato, è anche un potente invito a guardare a un futuro diverso. In sostanza questa è “una pagina dolorosa da cui la Chiesa impara”, come scrive Tornielli. I provvedimenti presi dal Papa dopo il summit per la tutela dei minori del febbraio 2019 posso essere letti anche alla luce del caso McCarrick. Il motu proprio Vos estis lux mundi, con le sue indicazioni sullo scambio di informazioni tra i Dicasteri e tra Roma e le Chiese locali, il coinvolgimento del metropolita nell’inchiesta iniziale, l’indicazione di fare presto nel verificare le accuse, come pure la caduta del segreto pontificio sono decisioni, scrive il direttore editoriale di Vatican News, “che hanno tenuto conto di quanto accaduto, per imparare da ciò che non ha funzionato”. Perfino le lettere anonime non vanno più automaticamente cestinate, come è scritto nel Vademecum della Congregazione della Dottrina della Fede dello scorso luglio. Accanto al dolore per la ferita “aperta e sanguinante” di questo increscioso caso e alla solidarietà per le vittime di ogni abuso, c’è però una speranza di cui si fa interprete il cardinale Parolin: “Perché questi fenomeni non si ripetano –afferma ­-, accanto a norme più efficaci, abbiamo bisogno di una conversione dei cuori. C’è bisogno di pastori credibili annunciatori del Vangelo, e dobbiamo essere tutti ben coscienti che ciò è possibile soltanto con la grazia dello Spirito Santo, confidando nelle parole di Gesù: senza di me non potete fare nulla”.

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