In dodici mesi una trasformazione politica e sportiva che sembra un contrappasso Adesso non ricordo bene ma doveva anche essere più fresco. Sì, di sicuro faceva meno caldo, ed era dolce stare fuori, con una fetta d’anguria matura al punto giusto, e una birra fredda a ghiacciare i pensieri sorridenti, così da poterli scongelare nei momenti duri. E poi la festa, i clacson, la nuova voglia di scherzare insieme. Come nella famosa canzone, «un’estate fa» è il racconto di una favola, di un sogno senza brutti risvegli, di un’illusione in cui specchiare la realtà per vederla meglio del vero.
E poi, pur nell’emergenza, mattone dopo mattone il cantiere dell’Italia di domani prometteva costruzioni solide e piacevoli da abitare. Il premier Draghi era in sella al governo di unità nazionale, dove le tensioni si mascheravano in nome di un interesse chiamato Pnrr cioè i soldi per la ricostruzione di un’economia piallata dal Covid. Certo, bisognava fare i conti con i lacci e i laccetti dell’Unione Europea, ma a guidarci era il banchiere che aveva salvato la moneta unica, l’uomo-istituzione che da solo valeva il segno positivo sui mercati, e qualche apertura di fiducia in più nelle previsioni sul Pil.
E poi, diciamolo, i padroni del continente eravamo noi. Non secondo gli scenari nebulosi degli economisti ma nella classifica, l’unica, che nel pensiero comune conta: quella dello sport. Sulla vetta grazie alla nazionale di Mancini, forti delle sterzate in accelerazione di Chiesa, dell’esperienza di Chiellini, delle parate di Donnarumma. In più quell’impresa non era una germogliazione solitaria nel deserto, ma il fiore più profumato di un giardino coloratissimo. Assieme ai successi nel calcio, 40 medaglie olimpiche e 69 podi paralimpici, i trionfi nella pallavolo e nel ciclismo, Berrettini finalista a Wimbledon, vittorie persino nel softball. I nuovi eroi si chiamavano Jacobs, Tamberi, Ganna. Atleti super e ragazzi simpatici a tutti grazie all’affabilità speciale che ti regala una medaglia sul petto. Ma era un’estate fa appunto.
Era il sogno nel frattempo diventato polvere di gloria, l’illusione che svanisce come l’inganno del prestidigitatore, quando ti accorgi che nel cilindro non c’è nessuno coniglio, e la carta da indovinare era nascosta nella manica dello smoking. Dalla vetta dell’autocelebrazione alla palude che blocca tutto è stato un attimo, una discesa libera degna della migliore Sofia Goggia. Oggi la storia presenta il conto alla fantasia romanzata, soffia su equilibri diventati fragili come un castello di carta. A distanza di un anno siamo nella parte cupa del racconto, davanti allo specchio sporco e rovinato che riflette solo il brutto.
Tamberi fuori dal podio, Jacobs infortunato, la nazionale di calcio esclusa dai mondiali, solo le azzurre della pallavolo a tenere alto, altissimo l’onore. E intorno è ancora peggio, molto peggio. A sgranare il rosario degli scenari negativi non si finisce più. La siccità, il Covid, soprattutto la guerra, drammatica vetrina di un Paese che non sa trovare un sentire comune, che mentre solidarizza con l’aggredito, fa salire in cattedra intellettuali fino a ieri sconosciuti, per sostenere le parti del tiranno. E poi l’ipocrisia di voler fermare il conflitto mandando più armi, l’uso strumentale delle parole del Papa, fino all’indifferenza verso scenari di violenza e morte diventati troppo consueti per emozionare ancora. Nel frattempo Draghi è diventato il tecnico che con la sua sola presenza testimonia il fallimento della classe politica.
E il partito di (ex) maggioranza che prima espelleva chi non lo sosteneva adesso caccia chi vuole che vada avanti. Oggi comunque si saprà. È il giorno del sì o no, come la nazionale ai rigori nella finale europea di Londra. L’anno scorso la parola chiave fu 'sorpresa'. E 'magia'. Quest’anno se la giocano 'incertezza'. E 'responsabilità'. Confini e al tempo stesso vocabolario di un periodo rovente, non solo per il meteo. Molto distante, ma forse ancora in tempo per somigliare a un’estate fa.