Laura Ghezzi, madre di famiglia numerosa.
Mi riferivo esattamente a questo tipo di "uso" del corpo e dell’immagine della donna quando nel mio editoriale del 12 febbraio scorso a proposito delle annunciate "piazze al femminile" scrivevo della «cartellonistica cialtrona che infesta le vie delle nostre città». Il caso che lei segnala, gentile signora Ghezzi, è clamoroso e urtante. Eppure ha fatto quasi fatica a creare scandalo, perché è dentro un’onda purtroppo lunghissima e apparentemente irrefrenabile. Proprio per questo è necessario che se ne parli, e che si metta alla prova la qualità, la profondità e la limpidezza della vasta indignazione per l’indecoroso scenario evocato dal "caso Ruby" e per l’altrettanto indegno spettacolo che ci è stato allestito attorno. E io la ringrazio, cara amica. Lei rimette il dito nella piaga, e fa bene. Sottolinea le «schizofrenie» di tanti di noi, e fa benissimo. Invoca l’intervento di autorità di garanzia e di autorità giudiziaria, e ha ragione. Mi limito solo a fa notare che, per cominciare, basterebbe il semplice intervento delle autorità comunali: una rapidissima ed esemplare revoca delle autorizzazioni all’affissione. Sarebbe una decisione utile per l’oggi e per il domani. Insomma: si rimuova il problema, per intanto. Ma poi, per favore, non ci si fermi. Serve una bella mobilitazione per far capire a chi riduce la femminilità a volgare adescamento e a linguaggio scurrile che non è proprio più aria. Che è sbagliato in sé, e che è anche un pessimo affare. È tempo di cambiare registri (e registi) di certa invadente comunicazione: meglio per amore, ma – a questo punto – va bene anche per timore e per interesse.
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: