Caro direttore,
l’art. 97 della Costituzione inizia così: «Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione Europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico». Questo comma – introdotto con la Legge costituzionale n. 1 del 2012 – è in vigore dal 1° gennaio 2014. In realtà già nella seduta del 24 ottobre 1946 dell’Assemblea Costituente Ezio Vanoni disse: «Il Governo deve avere la preoccupazione che il bilancio sia in pareggio e la stessa esigenza non può essere trascurata da una qualsiasi forza che si agita nel Paese e che avanza proposte che comportino maggiori oneri finanziari». Oggi, invece, Matteo Salvini (Lega), Luigi Di Maio (Cinque stelle), Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia), Matteo Renzi (Pd) e tanti altri leader politici si dichiarano contrari al pareggio di bilancio in Costituzione e vorrebbero la revisione del Fiscal Compact, un accordo europeo che prevede la riduzione del debito al 60% del Pil in 20 anni. Da notare che finora né il pareggio di bilancio né il Fiscal Compact sono stati applicati in Italia.
Bisogna essere consapevoli che il deficit di bilancio e il debito pubblico sono meccanismi che di fatto operano una redistribuzione al contrario, cioè tolgono ai poveri per dare ai ricchi. Alle banche e ai potenti conviene che lo Stato italiano e i cittadini italiani siano indebitati. Ai poveri converrebbe invece che le casse del fisco fossero piene, perché quelle risorse potrebbero essere usate per alleviare i debiti dei cittadini più in difficoltà e per dare la possibilità di una vita dignitosa ai meno abbienti. Aumentare il deficit non risolverà il problema dell’austerità, poiché l’incremento degli interessi sul debito oggettivamente costituisce un’ulteriore spinta verso l’austerità. L’equazione automatica che molti fanno tra riduzione del debito (pareggio di bilancio e Fiscal Compact) e maggiore austerità è un errore. Tutto sta nel decidere chi dovrebbe mettere a disposizione le risorse necessarie per raggiungere il pareggio di bilancio e per attuare la riduzione del debito. Il dovere inderogabile di solidarietà verso i più poveri e nei confronti delle prossime generazioni dovrebbe spingerci a far pagare il debito a evasori, corrotti e mafiosi, recuperando anche il patrimonio illegittimamente accantonato. Per questo bisognerebbe introdurre un’imposta patrimoniale tanto più elevata quanto meno si riesca a giustificare con il reddito dichiarato il patrimonio posseduto.
Un più deciso contrasto anche soltanto all’evasione fiscale (le stime sono diverse, nessuna inferiore ad almeno 108 miliardi di euro annui) potrebbe recuperare sufficienti risorse per porre fine all’austerità, pareggiare il bilancio dello Stato e ridurre il debito pubblico (che in fondo è lo scopo del Fiscal Compact). Occorre ricordare che gli italiani sono mediamente tra i più ricchi del mondo, con un patrimonio medio superiore a 160mila euro a testa. La cassa comune è stata svuotata a beneficio di qualcuno? Il criterio della progressività fiscale e l’utilizzo della capacità contributiva come base imponibile (previsti dall’art. 53 della Costituzione) negli ultimi decenni sono stati fortemente elusi (in particolare con tassazioni forfetarie e separate) e compressi (l’aliquota più alta è scesa dal 72% al 43%). I dati mostrano come i più ricchi abbiano pagato sempre meno tasse: di questo dovrebbe preoccuparsi chi ha a cuore l’equità fiscale. La proposta della cosiddetta flat tax (al 23% per Silvio Berlusconi, addirittura al 15% per Matteo Salvini), se attuata, peggiorerebbe ulteriormente la situazione. Sul pareggio di bilancio e sul Fiscal Compact si sta facendo l’errore di guardare il dito anziché la luna che quel dito indica.
Da 25 anni il bilancio dello Stato italiano, nonostante tutto, chiude con un avanzo primario di molti miliardi di euro. Risorse che non possono essere utilizzate per i servizi ai cittadini, ma che vengono completamente assorbite dal pagamento degli interessi sul debito, che continua a crescere. Rompere questo circolo vizioso dovrebbe essere il vero obiettivo di una politica che sceglie di stare dalla parte dei più poveri. Proprio il pareggio di bilancio e la riduzione del deficit e del debito pubblico potrebbero rappresentare una solida premessa per superare le attuali politiche di austerità. Purtroppo oggi manca una classe politica in grado di raccogliere la sfida, cioè parlamentari responsabili che abbiano come orizzonte il benessere della comunità e non le prossime elezioni. Manca anche un popolo consapevole, che sappia eleggere come propri rappresentanti coloro che hanno davvero a cuore la giustizia sociale e il futuro del Paese e che tenga in considerazione i diritti delle prossimi generazioni, alle quali abbiamo il dovere di non lasciare in eredità il fardello del debito pubblico. John Adams, il secondo presidente degli Stati Uniti d’America, aveva colto la gravità del problema oltre due secoli fa: «Ci sono due modi per rendere schiavo un popolo: uno è la spada, l’altro sono i debiti». Pertanto, assumiamoci le nostre responsabilità fino in fondo e cerchiamo di invertire la rotta. Oggi c’è assolutamente bisogno di un 'nuovo esodo': per la liberazione dalla schiavitù del debito.
*Imprenditore e vicepresidente Ardep, Associazione per la riduzione del debito pubblico (4°intervento di una serie, che prosegue)
Questo articolo fa parte del dibattito sul tema del debito pubblico che continuerà a più voci e con diverse posizioni.
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