Il 72° giorno di guerra porta notizie che fanno intravedere qualche spiraglio su una trattativa di pace, ma anche annunci e indiscrezioni che la renderebbero molto complicata. L'Ucraina sarebbe infatti disposta ad accettare un accordo di compromesso con la Russia se le forze di Mosca si ritirassero "sulle posizioni del 23 febbraio", secondo quanto affermato da Volodymyr Zelensky, intervenuto in video conferenza alla Chatham House di Londra.
Kiev rinuncerebbe alla restituzione della Crimea, annessa nel 2014. "Da parte nostra non tutti i ponti diplomatici sono stati bruciati", ha precisato il presidente, senza citare quella parte del Donbass fra Donetsk e Lugansk resasi autonoma nel 2014. In realtà, il capo di gabinetto di Zelensky, Andriy Yermak, in un’intervista ha dato una versione differente, secondo la quale le questioni della regione di Donetsk e Lugansk e la Crimea devono essere risolte in un confronto tra i due leader, nel quale però l'indipendenza, la sovranità e l'integrità territoriale dell'Ucraina non dovrebbero essere messe in discussione.
L’apparente apertura è quindi tutta da interpretare, perché il ritiro completo dell’Armata russa dalle posizioni conquistate dopo il 24 febbraio assomiglierebbe troppo a una sconfitta per Putin, anche se potesse annunciare lo status permanente delle zone contese ormai da 8 anni. In particolare, dopo la feroce battaglia di Mariupol, che potrebbe essere una delle conquiste che il presidente russo annuncerà il 9 maggio alla parata di Mosca, difficilmente il Cremlino sarà disposto a ritirarsi dagli avamposti conquistati a Sud.
L’investimento in uomini e mezzi per ottenere la sconfitta fortemente simbolica del battaglione “nazista” Azov non può andare sprecato nella prospettiva russa. Lo dimostra anche la rapidità e lo zelo con cui, in una fase ancora drammatica, si sta provvedendo a cambiare la segnaletica stradale, rimuovendo i cartelli in ucraino con traslitterazione in inglese e collocandone di nuovi esclusivamente in russo.
D’altra parte, la situazione militare, all’inizio dell’undicesima settimana del conflitto, non sembra prendere una piega favorevole a Mosca. Nelle ultime ore, i rovesci sono venuti ancora dal mare. Secondo Kiev e altre fonti indipendenti, sarebbe stata colpita da un missile e danneggiata la fregata “Admiral Makarov”, il gioiello rimasto alla Russia nel Mar Nero. Era la nave che nel luglio 2018 si esibiva sulle acque davanti a San Pietroburgo nella sfilata più importante, nella giornata dedicata alla Marina. Il mezzo più moderno della classe Admiral Grigorovich nella flotta del Mar Nero era appena entrato in servizio il Natale precedente, prendendo base a Sebastopoli.
Se il raid rivendicato dall’esercito ucraino fosse confermato, per Putin sarebbe un altro duro colpo, dopo l'affondamento il mese scorso dell'incrociatore missilistico “Moskva” e la distruzione a marzo della nave da sbarco “Saratov”, affondata nel porto di Berdiansk dopo essere stata colpita, secondo gli ucraini, dai droni che danneggiarono anche la “Caesar Kunikov” e la “Novocherkassk”. Alla Russia, dicono gli analisti militari, sono rimaste solo tre grandi navi da impiegare in combattimento nella guerra d’Ucraina.
Se a Sud le cose non vanno bene, nemmeno a Est l’Armata segna progressi significativi, mentre l’Ucraina avrebbe consolidato la sua controffensiva, guadagnando terreno a oriente di Kharkiv e nei pressi di Izium. Che la situazione sia complessa lo indica pure l’annuncio secondo cui i delegati russi nelle regioni di Lugansk e Donetsk non terranno una parata lunedì in contemporanea con quella di Mosca, perché le condizioni sul campo non lo permettono. A spiegarlo, Sergei Kiriyenko, primo vice-capo di gabinetto dell'Amministrazione presidenziale.
Per riequilibrare l’immagine di Mosca, arrivano i proclami alla vigilia della manifestazione nazionale del 9 maggio: alla parata sulla Piazza Rossa i caccia supersonici e i bombardieri strategici Tu-160 effettueranno un sorvolo sulla Cattedrale di San Basilio. E per la prima volta dal 2010, ha fatto sapere il ministero della Difesa, sarà schierato l'aereo Il-80 "Doomsday” (giorno del giudizio), che trasporterebbe i vertici russi in caso di guerra nucleare, diventando il centro di comando in volo di Putin. Se non vi saranno novità sostanziali, tuttavia, sarà difficile nascondere le difficoltà del Cremlino nel gestire la crisi che ha innescato e dalla quale Putin non ha una semplice via di uscita. Una difficoltà aggravata, se l’inchiesta della testata Bellingcat fosse fondata, dalla solitudine dello Zar, che avrebbe deciso il via all’invasione senza informare molti dei suoi più stretti collaboratori, che adesso gli sarebbe ostili, pur senza avere la forza di ribellarsi.