Nel 36° giorno di guerra, Vladimir Putin prova a rispondere al fronte occidentale con l’arma del gas. Sembra essere un avvertimento o una mezza-ritorsione, perché probabilmente ritorsioni piene alle sanzioni sono fuori portata per Mosca. In attesa di comprendere pienamente quanto il meccanismo imposto costerà ai Paesi “ostili” acquirenti dell’energia russa, si possono fare alcune considerazioni preliminari. Perché proprio ora il Cremlino gioca la carta del “ricatto” sul gas, come l’ha chiamato il cancelliere tedesco Scholz? È cambiato qualcosa nello scenario bellico complessivo?
Putin sembrava, nei giorni scorsi, disposto ad avviare un negoziato più concreto con l’Ucraina. Poi ha compiuto una marcia indietro rispetto alle manovre distensive annunciate (allentamento degli attacchi su Kiev e il Nord del Paese). La prima incognita è la reale situazione militare, economica e politica della Russia. L’Armata non vince sul terreno, ma nemmeno perde in senso stretto. È in grado di sopportare un conflitto lungo molto più di quanto possa farlo l’Ucraina. Le misure contro le riserve pubbliche, i patrimoni personali e i commerci non possono avere già intaccato la stabilità del sistema. La censura e la repressione del dissenso mettono l’establishment al riparo da rischi di contestazioni interne.
Ma potrebbero esservi fratture dentro lo stesso sistema di potere. I falchi che hanno “arruolato” il leader ceceno Kadyrov sono ostili al negoziato con Zelensky e vogliono ottenere una resa senza condizioni. Un fronte più moderato vorrebbe terminare la guerra al più presto, e non solo per ragioni strettamente umanitarie: è consapevole che si tratta di un’avventura rischiosa anche per chi ha avviato l’invasione. Forse Putin cerca di muoversi ancora da giocatore d’azzardo tra queste diverse posizioni, provando a sparigliare le carte e confondere l’avversario, dopo avere obiettivamente sbagliato le prime mosse.
Avvertimento o mezza-ritorsione, dunque: non si blocca il gas, che con un meccanismo di cambio a carico delle banche russe continuerà di fatto a essere pagato in euro o dollari, ma si fa balenare all’Europa che non può tirare troppo la corda. Il messaggio alla Ue è che conviene spingere su Zelensky perché accetti un accordo al più presto, alle condizioni poste da Mosca, oppure il rischio del taglio delle forniture energetiche vitali per il Vecchio Continente si farà concreto. L’arma però è spuntata nella misura in cui la Russia stessa farebbe fatica a privarsi dei 400 milioni di euro al giorno incassati con le esportazioni.
Venderebbe alla Cina, si dice. Non è così scontato: bisogna leggere bene tutti i segnali che arrivano da dietro la Grande Muraglia, al di là delle parole di amicizia. Pochi giorni fa, Sinopec, la più grande compagnia petrolifera asiatica, ha congelato un investimento di 500 milioni di dollari in un nuovo impianto petrolchimico russo. È noto che le grandi società cinesi, per i loro affari internazionali, ricevono direttive dal ministero degli Esteri. L’indicazione allora è chiara: Pechino è preoccupata di finire nelle maglie delle sanzioni occidentali. La solidarietà politica è gratis, vedersi sequestrare beni e fondi no. L’unico dividendo immediato per lo Zar è l’apparente successo nell’avere imposto le sue nuove regole alle nazioni “ostili”. Un “successo” da fare veicolare dalla ben oliata macchina propagandistica.
Mentre l’Europa fa i conti con le prospettive di rimanere al freddo, gli Stati Uniti, che hanno già bloccato il petrolio di Putin, possono permettersi di varare altre misure economiche contro società russe e oligarchi. Biden resta dunque la spina nel fianco del Cremlino e il vero, grande alleato dell’Ucraina. L’ha resa capace di resistenza all’urto dell’offensiva iniziale e ora fa sì che possa persino riconquistare territori.
Tutto questo complica le trattative e rischia di allungare tragicamente il conflitto, soprattutto se è vero che nemmeno Mosca ha una strategia chiara per uscirne. Il gas non può essere usato contro Washington e tagliarlo drasticamente ai Paesi europei potrebbe indurli a pensare che non c’è proprio spazio per ritenere Putin affidabile in una qualunque trattativa. La Russia oggi non sa se può vincere il conflitto distruttivo che ha messo in moto e Kiev è determinata a non essere sconfitta né sul campo né al tavolo dei negoziati. Si procede a vista e non si scorgono, nel 36° giorno di guerra, segni che inducano all’ottimismo.