Trump e la geopolitica a tre punte
martedì 25 febbraio 2025

Forse per cercare, se non una giustificazione, una strategia dietro l’attivismo dirompente e aggressivo della nuova Amministrazione Trump, diversi analisti hanno scomodato la teoria del “triangolo strategico” adottata negli anni Settanta dal presidente statunitense Nixon. Questi decise di aprire nuove relazioni diplomatiche con la Cina di Mao, sfruttando le molte rivalità e incomprensioni che vi erano allora fra l’Unione Sovietica e Pechino, per fare perno ora su uno ora sull’altro angolo di questo triangolo a vantaggio degli interessi occidentali, evitando altresì che le due potenze comuniste si compattassero.
Da molti anni, invece, gli Stati Uniti hanno messo in atto una politica di opposizione tanto alla Cina quanto alla Russia di Putin, cosa che si è ovviamente accentuata dopo l’invasione russa dell’Ucraina nel 2022. Di fatto, abbiamo spinto le due potenze principali dell’Eurasia a stringere un’alleanza strategica marcatamente anti-occidentale. Bene fa quindi, secondo alcuni, il presidente Trump a tendere la mano a Mosca, così da staccarla da Pechino.
Si tratta di una lettura francamente semplicistica, che ha il demerito di banalizzare una strategia molto più articolata. E non solo perché è lecito dubitare che né un uomo d’affari notoriamente di poche letture come Trump, né il suo sovraeccitato consigliere principe, Elon Musk, abbiano approfondito le teorie postclassiche della geopolitica. Quel che emerge è che nella sua corsa a ridurre la politica a semplice “naked transactionalism”, come è stata definita, ossia come brutale approccio commerciale, con il suo privilegiare un tatticismo estemporaneo, il presidente statunitense stia violando i princìpi teorici stessi di quel triangolo strategico.
Perché alla base di quella visione, vi era la capacità di enfatizzare le differenze di interessi fra le due potenze avversarie, non già offrire un accordo, come quello che sembra essere dato a Putin, in cui si cede su quasi tutto, in una logica spartitoria che infanga chi la propone e che abbassa Washington allo stesso livello di Mosca. Perché secondo gli ultimi repentini sviluppi non è una pace accettabile che si vuole ottenere, ma un mero ritorno alle sfere di influenza e di “predazione” dei Paesi deboli.
E soprattutto, condizione necessaria per giocare un nuovo triangolo strategico, è che l’Occidente rimanga, come era durante la Guerra fredda, un blocco molto più coeso rispetto alle altre due potenze. Al contrario, Trump e i suoi mostrano un disprezzo verso il Vecchio continente e un fastidio verso l’Unione Europea che sta creando un pericoloso solco fra le due sponde dell’Atlantico. Forse, essi pensano che l’Unione sia incapace di reagire e che con qualche calcio ben assestato, la fragile costruzione europea crolli per lasciare spazio nuovamente solo all’azione dei suoi Stati membri. È la speranza anche dei vari partiti di ultradestra e dei sovranisti del continente. Eppure, per quanto lenti, macchinosi, irritanti nelle loro divisioni, gli Stati europei – e ancor più le loro popolazioni –sembrano restii a rinunciare a quanto costruito dalla fine della Seconda guerra mondiale in poi, come ci dicono anche le elezioni tedesche di domenica scorsa. La conseguenza di umiliare l’alleato di sempre, spingendolo lontano da sé, è che il triangolo si trasforma in un quadrangolo strategico. Con l’inevitabile conseguenza che un’Europa incerta sulle intenzioni degli Usa finirà per guardare altrove, probabilmente proprio verso Pechino. Non a caso la Cina sta reagendo all’attivismo statunitense sfoggiando moderazione e una cautela, per accreditarsi agli occhi dei tanti Paesi sconcertati dagli eventi quale potenza affidabile e garante degli equilibri internazionali.
Trump e Musk dovrebbero rileggere i classici della geopolitica anglosassone: una potenza marittima (il famoso Sea Power) come gli Stati Uniti, non può pensare di controllare la grande piattaforma euroasiatica senza delle alleanze stabili con alcuni Paesi sul “bordo” di questa piattaforma, Europa e Paesi del Medio Oriente fra tutti. Perché il rischio è di restare marginalizzati.
Minare la credibilità della parola di Washington, rendere manifesto che per gli Usa i trattati e gli accordi sono carta straccia quando convengono meno, non è una strategia molto astuta. Una considerazione che dovrebbero fare anche tanti politici sovranisti europei – compresi alcuni nostri governanti – su quanto poco, nel lungo periodo, giovi il tatticismo continuo, la furbizia degli atteggiamenti cangianti a seconda degli interlocutori con cui si sta parlando. Scegliere con chiarezza il campo in cui stare oggi è la strategia politica più semplice e più efficace.


© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: