venerdì 19 giugno 2020
La necessità di sostenere gli Stati debitori non può escludere la tutela degli interessi dei creditori, anche per le conseguenze sulla stabilità dell'economia internazionale
Un'immagine di povertà dal continente africano. L'emergenza coronavirus ha aggravato i problemi di alcuni Paesi e delle fasce di popolazione più sofferenti. Il debito estero è spesso una zavorra

Un'immagine di povertà dal continente africano. L'emergenza coronavirus ha aggravato i problemi di alcuni Paesi e delle fasce di popolazione più sofferenti. Il debito estero è spesso una zavorra - Ansa

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Caro direttore,

il 15 aprile 2020 i Paesi del G20 riuniti in teleconferenza hanno raggiunto un’importante decisione, riportata il giorno seguente su “Avvenire” dall’articolo di Pietro Saccò. Pur non aderendo in pieno all’appello–proposta del segretario generale della Nazioni Unite, Antonio Guterres, nel rendere una priorità la «remissione del debito» rilanciato anche da queste stesse colonne all’inizio di aprile («L’ora di misure straordinarie»), ha deciso di sospendere temporaneamente i pagamenti a servizio del debito per i Paesi più poveri a partire dal 1° maggio 2020 per un periodo prorogabile di sei mesi. Una scelta che ha l’obiettivo di sostenere nella lotta alla pandemia da coronavirus gli Stati emergenti, ovvero i destinatari degli aiuti dell’Agenzia internazionale per lo sviluppo (Ida) della Banca mondiale, e gli Stati classificati dall’Onu come meno avanzati e che sono attualmente in debito verso il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale.

Si tratta quindi per i 77 Paesi beneficiari di un risparmio temporaneo (non è un condono) pari a circa 12 miliardi di dollari. I creditori privati al momento non hanno partecipato alla moratoria del debito, ma sono stati invitati dal G20 ad aderire all’iniziativa. L’Istituto della finanza internazionale, che rappresenta oltre 450 tra banche e fondi di investimento, ha reso noto che i creditori privati aderiranno alla proposta, ma su base volontaria. Bisognerà quindi verificare se effettivamente sospenderanno i loro crediti, e soprattutto con quali tempistiche, onde evitare il rischio che gli Stati beneficiari della moratoria utilizzino le risorse liberate per il rimborso dei creditori privati anziché per la gestione della crisi sanitaria.

La decisione ha in ogni caso grande importanza non solo per l’attuale gestione dell’emergenza sanitaria, ma anche per il futuro, in quanto consentirà a Fmi e Banca mondiale, come è stato annunciato dai rispettivi direttori, di adottare misure volte a ridurre gli squilibri fiscali dei Paesi più poveri. Inoltre, rappresenta un esempio di solidarietà internazionale che si colloca all’interno di un dibattito che da ormai molti anni vede scontrarsi Paesi debitori e creditori. Come noto, alla fine degli anni 70 del Novecento il debito estero dei Paesi poveri e in via di sviluppo è cresciuto divenendo sempre più insostenibile. Le ragioni sono diverse: l’aumento unilaterale del tasso di interesse di riferimento da parte dei principali creditori (Usa e Inghilterra), la svalutazione delle monete locali e il crollo dei prezzi delle materie prime. La comunità internazionale fu costretta a prendere atto della situazione nel 1982, quando il Messico, seguito qualche tempo dopo da Argentina e Brasile, dichiarò ufficialmente di non essere in grado di pagare gli interessi sul debito, determinando così una serie di reazioni a catena che portarono a una grave crisi debitoria.

Particolare attenzione alla questione della sospensione ed eliminazione del debito è stata prestata sin dall’inizio dalla Conferenza episcopale italiana, grazie anche al contributo determinante del cardinal Attilio Nicora, in veste di Presidente del Comitato ecclesiale italiano per la riduzione del debito internazionale dei Paesi poveri. Egli si impegnò tenacemente nella promozione di proposte e nella diffusione della “dichiarazione su usura e debito internazionale” della Carta di Sant’Agata dei Goti del 29 settembre 1997, documento centrale per l’approvazione della legge italiana n. 209 del 25 luglio 2000 in materia di riduzione del debito estero.

Quando si parla di debito estero si pensa sempre (e giustamente) alla situazione dei Paesi più poveri, ma è opportuno tener presente che l’insostenibilità del debito estero costituisce un pericolo non solo per lo Stato debitore, ma anche per il creditore, soprattutto quando vi è un’eccessiva esposizione e, quindi, una dipendenza del secondo dalla capacità di ripagamento del primo. Proprio per questo a partire dagli anni 80 è stata promossa la strategia concertata del debito fra tutti i principali attori della crisi (Paesi debitori, banche commerciali, istituzioni finanziarie internazionali e governi creditori) al fine di evitare, da una parte, il mancato pagamento del debito da parte dei Paesi più poveri e, dall’altra, l’interruzione da parte dei creditori di qualsiasi finanziamento ai Paesi insolventi come forma di ritorsione alla sospensione dei pagamenti. A oggi, però, le iniziative attuate non hanno avuto grande successo, sia in termini di Paesi coinvolti che di risultati ottenuti nei Paesi coinvolti.

Si consideri, inoltre, che molti Stati creditori utilizzano il debito come strumento di influenza economica e politica nei Paesi più poveri. Basti pensare ai numerosi prestiti per la realizzazione di progetti infrastrutturali in Africa erogati dalla Cina, per cui rinunciare al pagamento del debito significherebbe privarsi di un importante strumento di controllo. Ed è proprio in questa cornice che potrebbe essere collocato l’invito del presidente Macron ai Paesi della Ue ad annullare “massicciamente” il debito con i Paesi africani: una proposta certamente lodevole, ma che alcuni analisti hanno letto come una mossa politica della Francia per riallacciare e consolidare relazioni economiche e commerciali con il continente africano.

E' evidente, quindi, che l’attuale situazione emergenziale rende ancora più urgente la necessità di trovare soluzioni di lungo periodo per la riduzione permanente del debito dei Paesi più poveri, visto che le conseguenze economiche e sociali della pandemia non termineranno a breve. Per fare questo non bastano interventi una tantum o semplici dichiarazioni di intenti, ma servono strumenti stabili e piani d’azione di lungo periodo gestiti e coordinati da un organismo internazionale indipendente (e quindi non il Fondo monetario internazionale o la Banca mondiale) competente a gestire la ristrutturazione del debito con tutti gli attori interessati e, soprattutto, a contemperare la tutela degli interessi dei creditori con la necessità di sostenere i Paesi debitori in difficoltà, anche per l’incidenza sulla stabilità del sistema economico internazionale.

Giurista, Ugci e Università Cattolica

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