Quasi mezzo secolo fa, alle prime luci dell’alba, da un piccolo paese di montagna partiva una spedizione composta da persone del posto e villeggianti, la cui unica ambizione era raggiungere la vetta non troppo alta di una montagna vicina. Il gruppo era composto da giovani, adulti e da qualche ragazzino alla prima escursione in quota.
Dopo qualche ora di cammino la compagnia arrivò alla base della montagna, ma la cima era ricoperta di nuvole. Un ragazzo appena trentenne, nato da quelle parti, si fermò e disse a tutti: «Nelle rocce di questa montagna c’è ferro, le nuvole possono originare fulmini, è troppo pericoloso salire». Il gruppo, così, se ne tornò indietro.
Anche perché tutti sapevano che, tempo prima, le persone salite a piantare una croce sulla vetta non avevano mai fatto ritorno per una scarica arrivata dal cielo. Questo racconto non nasce dalla fantasia, è scolpito nella memoria di chi scrive, ai tempi uno dei ragazzini in gita: la prima vera avventura in montagna è stata una rinuncia.
Attualizzando la vicenda viene da chiedersi quanti, oggi, dopo ore di cammino, rinuncerebbero all’ultimo pezzo di strada per due nuvole in cima.
Ma i tempi sono cambiati, e anche la cultura della montagna e il senso dell’avventura hanno conosciuto una trasformazione. Molte più persone si sono avvicinate alla bellezza delle alte quote, portando però con sé lo stile di una vita che talvolta fatica ad accettare il limite (le vere imprese sono da tempo solo no limits) o la rinuncia: qualcosa che, nelle riflessioni di uno scrittore come Erri De Luca, amante della montagna, ha a che fare con parole come rispetto, timore, umiltà.
Pensieri che sgorgano mentre alcuni grandi alpinisti in questi giorni sembrano suggerire 'percorsi' alternativi. Marco Confortola, uno con dodici Ottomila alle spalle, ha fatto parlare di sé per aver rinunciato a salire sul Nanga Parbat dopo essersi reso conto del caldo eccessivo: un invito alla prudenza e all’insensatezza di una sfida spavalda alla morte. Più o meno nelle stesse ore è arrivata la decisione di sospendere le salite sul Cervino e sul Monte Bianco da parte delle guide alpine locali: con queste condizioni climatiche è troppo rischioso, hanno spiegato.
Quanto accaduto sulla Marmolada sembra aver tracciato una linea capace di indicare un prima e un dopo. Sapevamo già che il clima stava cambiando, anche per effetto delle attività umane, ma è stata la tragedia di un ghiacciaio collassato trascinando con sé undici vite a far radicare una consapevolezza: quella per cui la sofferenza inflitta alla Terra si trasforma in sofferenza per gli esseri umani, che siano impegnati in azioni necessarie alla loro sopravvivenza nelle zone più povere del pianeta, oppure occupati nel tempo liberato, dove le condizioni lo rendono possibile.
La montagna può insegnare molto, come sempre avviene quando il cammino è anche ricerca di senso. Cambiare il modo con cui intendiamo l’avventura aiuta a capire che la rinuncia può essere una strada per acquisire il passo del rispetto, l’incedere che permette di sentire il ritmo della terra e muoversi con un approccio responsabile nell’uso e nel consumo delle risorse.
MCalvi
È vero, è inutile chiudere le montagne, come ha detto un altro grande alpinista, Simone Moro: vorrebbe dire vivere quello spazio meraviglioso e aperto all’infinito soltanto come «un’alternativa di svago » e non considerandolo «un ecosistema vivo da preservare». Vorrebbe dire trasformare i prati, i boschi e le rocce in un grande parco tematico, con cancelli e orari di apertura, rinunciando invece ad accogliere quel cambiamento personale degli stili di vita che nasce dall’educazione al rispetto della natura attorno e dentro di noi. «È la sorella madre Terra che grida, in balia dei nostri eccessi consumistici », ha scritto papa Francesco nel Messaggio diffuso per la Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato, che si terrà il prossimo 1 settembre. La «conversione ecologica» cui invita l’enciclica Laudato si’ non è un cammino difficile, se si è pronti a rinunciare a qualcosa, e soprattutto lo si affronta insieme.