Caro direttore,sono la figlia di un vostro abbonato. Vorrei riportare sotto i riflettori della cronaca il grave fatto accaduto a fine gennaio in Pakistan. Mi riferisco alla tragica morte di Shazia Bashir, la piccola cristiana dodicenne che ha perso la vita in seguito ai continui maltrattamenti subiti dalla famiglia del suo datore di lavoro, importante e potente avvocato di Lahore, Chaudhry Mohammad Naeem. Per coloro che poco o nulla sanno sulla vicenda, vorrei segnalare un gruppo nato su Facebook, «
We want intense sentence for little Shazia’s killers» («Vogliamo una sentenza severa per gli assassini della piccola Shazia», ndr). Lì è possibile leggere tutta la storia di questo piccolo angelo, dai soprusi, alla morte, al processo scandalo, che ha completamente prosciolto gli assassini. In più, linkati articoli sui dati della piaga del lavoro minorile. Purtroppo quello di Shazia è solo uno tra gli innumerevoli episodi di violenze psico-fisiche, maltrattamenti, sfruttamento cui i bambini devono sottostare ancora oggi in alcuni Paesi. Io e mio marito abbiamo appreso della piccola Shazia proprio da Avvenire ed è ancora grazie a quanto da voi scritto che abbiamo ricercato e trovato il suddetto gruppo su Facebook, aderendovi e cercando di parteciparvi attivamente affinché cresca il numero dei membri, così da dare più risalto a questa causa che riteniamo nobile ed importante, in un mondo che, invece, sembra interessarsi a reality show, gossip e realtà patinate. Troppo poco, infatti, lo spazio riservato dai media giornalistici e televisivi a vicende simili. È per questo che mi sono rivolta a voi, chiedendo che si torni a parlare della vicenda di Shazia e di tutti i bambini, indifese vittime del lavoro infantile in Pakistan e non solo. È la loro visibilità che sto cercando, sensibilizzando un’opinione pubblica nella cui forza credo, ma che, a volte, sembra sopita.
Tania Salvatori
Apartire dal 26 gennaio, il nome di Shazia Bashir è tornato su Avvenire dieci volte; di queste, tre volte hanno riguardato un Primo Piano e una volta – l’11 febbraio – la prima pagina. Su altri giornali e telegiornali grandi e piccoli quel nome e quella storia – conosciuti grazie alla segnalazione dell’agenzia Fides – non hanno meritato neppure una «breve» o un flash. Ma questo per i nostri lettori non è una novità. Ècco perché, oggi, rilanciamo volentieri la sua sollecitazione, cara signora Tania. Ciò che lei scrive mi trova d’accordo e ritengo meritoria ogni azione di sensibilizzazione orientata a tenere viva l’attenzione sul business del lavoro minorile – e addirittura infantile – che coinvolge ancora tanti Paesi. È un altro dei crimini contro i bambini che vengono perpetrati in un mondo spesso distratto e ancora più spesso male informato sui veri scandali della nostra epoca. Mi permetto una sola integrazione ai dati che lei richiama: la difficoltà a ottenere giustizia pur in presenza di prove di colpevolezza schiaccianti a carico del datore di lavoro di Shazia, un famoso uomo di legge, dipende anche dal fatto che Shazia e la sua famiglia sono di religione cattolica, minoranza vessata. Continuiamo, insomma, a combattere con tutte le nostre forze il lavoro minorile, ma insistiamo anche nella rivendicazione di una piena libertà religiosa e di coscienza. Ovunque.