«Fratelli e sorelle, buonasera!». Scorrendo le parole pronunciate dalla loggia di San Pietro, il 13 marzo di 6 anni fa, si comprende come Francesco esplicitò subito quella sera le coordinate del suo pontificato. A partire dal saluto, nel quale esprimeva la volontà di farsi propter hominem, porsi cioè come prossimo da fratello per tutti esprimendo l’«intima unione della Chiesa con l’intera famiglia umana », così come viene descritto nel proemio della Gaudium et spes, all’origine di quell’invito alla prossimità, cifra del richiamo alla «conversione pastorale» rivolto poi a tutta la compagine ecclesiale a partire dall’Evangelii gaudium. «Vescovo a Roma... della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese»: ancora parole di quella sera, con le quali il Papa riprese sant’Ignazio d’Antiochia nel definire la Chiesa di Roma come «quella che presiede nella carità tutte le Chiese» evidenziando che è Vescovo di Roma, motivo per il quale è Papa, sorgente del suo ministero universale ma anche compito che gli è affidato in quanto Successore di Pietro. Da sempre il Vescovo di Roma è chiamato a custodire, a ricercare e servire l’unità, non solo all’interno della Chiesa, ma anche con i fratelli cristiani. Francesco ha così da subito sancito anche l’impegno ecumenico assunto come priorità nel ministero petrino, impegno che in questi anni lo ha portato a intensificare il cammino cominciato dal Concilio con il decreto Unitatis redintegratio.
«E adesso, incominciamo questo cammino: Vescovo e popolo». Se il Vaticano II ha in messo risalto la Chiesa non solo come gerarchica, ma come popolo di Dio, cammino compiuto insieme da pastori e fedeli, l’invito di Francesco rimanda al secondo capitolo della Lumen gentium dove si afferma che «vescovo e popolo fanno un cammino insieme». Da qui la sinodalità, che significa appunto «camminare insieme», modalità e stile che appartengono alla natura apostolica propria della Chiesa, e che in questi anni, è stata rimessa in moto nei Sinodi sulla famiglia e sui giovani, e prossimamente sull’Amazzonia, passando per il 'mini-concilio' sugli abusi, preceduto da una lettera del Papa al popolo di Dio. Così il «cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi», il «cammino fruttuoso per l’evangelizzazione» augurato in quel primo saluto, ha teso fino a oggi l’arco del magistero di papa Francesco, che dalla Lumen gentium ha voluto «incoraggiare e orientare in tutta la Chiesa una nuova tappa evangelizzatrice».
«Perché ci sia una grande fratellanza»: con questa preghiera il Papa alluse e prefigurò la ricerca «dell’unità del genere umano» e della pace che sono confacenti al ministero petrino e che l’hanno portato attraverso il dialogo di questi anni a gettare ponti anche con le altre religioni fino alla firma del documento sulla fratellanza umana recentemente siglato ad Abu Dhabi con il leader musulmano al-Tayyeb.
«Chiedendo la benedizione... Facciamo in silenzio questa preghiera di voi su di me». Compiendo il gesto di chinarsi dalla loggia di San Pietro verso il popolo per riceverne la benedizione Francesco disse che essere « Servus servorum Dei » significa mostrare come anche Pietro, il peccatore perdonato, al pari di tutti i battezzati è bisognoso della misericordia di Dio. Con questo gesto prefigurava l’Anno santo della misericordia, tema cardine della Chiesa che esiste solo come strumento per comunicare agli uomini il disegno misericordioso di Dio. Proprio al Concilio la Chiesa aveva sentito la responsabilità di essere nel mondo come segno vivo dell’amore del Padre. «Domani voglio andare a pregare la Madonna, perché custodisca tutta Roma». Infine, ecco l’annuncio del gesto di affidamento alla Madonna che il giorno seguente avrebbe fatto recandosi alla Salus populi romani presso Santa Maria Maggiore. Alla Vergine Salus popoli romani sono infatti storicamente legati sia il Vescovo di Roma che il popolo romano. Un gesto che Francesco continua a compiere e che s’inserisce con rinnovata espressione nella secolare tradizione della Chiesa di Roma, perché un pontificato affidato alla Salus popoli romani è consacrato alla «Salus Ecclesiae». Queste prime parole nel loro insieme sono perciò da considerarsi il compendio di una visione ecclesiale, scaturita dal solco della Tradizione e maturata dall’ecclesiologia conciliare, che nel corso dei sei anni del suo pontificato è andata avanti, sviluppandosi e intensificandosi. Esse sgorgano infatti dall’aver fatto proprio, come figlio, il Concilio Vaticano II nella sua interezza come «risalita alle sorgenti», e insieme dalla «capacità che lì la Chiesa ha mostrato di lasciarsi fecondare dalla perenne novità del Vangelo di Cristo». Quelle parole fanno riferimento diretto a due documenti centrali del Vaticano II: la costituzione dogmatica Lumen gentium sulla natura della Chiesa e la costituzione pastorale Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo.
Dal saluto iniziale del pontificato di papa Francesco si intravvede dunque già il cammino poi percorso lungo le strade maestre indicate dal Concilio: la risalita alle fonti del Vangelo, una rinnovata missionarietà, la sinodalità, il servizio e il dialogo con la contemporaneità, la ricerca dell’unità con i fratelli cristiani, il dialogo interreligioso, la ricerca della pace. Quelle prime parole fanno comprendere come non sia il Papa a fare la Chiesa, e quanto sia assolutamente improprio guardare a lui come a un personaggio separato dal corpo della Chiesa, che è di Cristo. Solo Cristo con l’azione dello Spirito può muoverla e farla andare avanti, come l’attuale Successore di Pietro ha ribadito: «Non sono io. Questo è il cammino dal Concilio che va avanti, che s’intensifica. Questo cammino è il cammino della Chiesa. Io seguo la Chiesa».