Gentile direttore,
domenica scorsa trovandomi in vacanza a Lecce ho partecipato alla messa domenicale in quella città. Purtroppo l’omelia del celebrante (un prete relativamente giovane e con notevoli capacità oratorie) ha provocato in me un forte disagio. Ha commentato la bellissima parabola del grano e della zizzania insistendo per più della metà del suo discorso sulle fiamme dell’inferno, sulle punizioni terribili che attendono i peccatori. È singolare che tra i peccati che addormenterebbero le coscienze abbia citato solo le famiglie sfasciate dal divorzio e le immagini che circolano sui vari social. A chiusura dell’omelia ha quindi raccomandato ai credenti di 'odiare' il peccato. Ma come può essere pronunciata dall’ambone di una chiesa questa parola? Senza considerare che da odiare il peccato a odiare i peccatori il passo è breve... Ho capito durante l’ascolto di quella omelia perché per tanti anni sono stata lontana dalla Chiesa, fino a quando non ho incontrato ormai parecchio tempo fa un prete che nella sua funzione di parroco per oltre 25 anni non ha 'predicato' il Vangelo, ma lo ha vissuto con la sua continua testimonianza di ascolto, discernimento, accoglienza, carità senza per questo svilire il richiamo all’assunzione di responsabilità da parte di ciascun cristiano a operare nel bene. E che dire delle omelie del Papa che nei mesi della pandemia ci hanno scaldato il cuore pur interpellando e spronando continuamente la nostra coscienza! Non mi capacito che ci possano essere visioni così distanti nella Chiesa e soprattutto distanti dal cuore del messaggio evangelico... Non nascondo che al termine della Messa ho pregato per quel prete affinché il suo animo si apra alla tenerezza e all’amore di Dio. Grazie per l’attenzione!
Marinella Denitto
Pregare per i nostri preti, così come loro celebrano per noi tutti, è sempre una buona cosa. Detto questo, gentile signora Marinella, prendo atto, con rispetto della sua amarezza e della sua perplessità. Anche a me, non lo nascondo, càpita di incappare in omelie che fatico ad ascoltare e a capire, e non perché non siano in italiano. Ma me ne faccio una ragione e cerco di prendere il bene che c’è, e ce n’è sempre in tutte. Preferisco, ovviamente, anch’io essere accompagnato con parole forti eppure affascinanti e luminose. Diciamo, diversamente infuocate. Non condivido, però, la sua opinione per cui chi arriva a «odiare il peccato», sarebbe a un passo dall’«odiare i peccatori». Penso l’esatto contrario, anche se il verbo odiare (e l’esercizio dell’odio) non piace mai neppure a me. Non dimentico, tuttavia, che sant’Agostino ci ha indicato proprio la via dell’amore per il peccatore e dell’odio (ovvero della repulsione) per il peccato. Vedo e sento che papa Francesco non usa questo verbo, e come lui e prima di lui i Papi che ci hanno condotto lungo i primi cinquant’anni della stagione conciliare e post-conciliare. Ma la sostanza è la stessa: riconoscere, respingere e sconfiggere il peccato, abbracciare e salvare il peccatore. La via è quella della misericordia, e della pazienza. Ne abbiamo bisogno tutti, e tutti nel nostro piccolo possiamo provare a viverle nei confronti di altri. Come mi insegnava sorridendo il mio parroco, anche nei confronti dei nostri padri e fratelli sacerdoti.