Caro direttore, la ringrazio per l’attenzione che Avvenire ha dato alla questione dei precari e dei giovani che vogliono insegnare. Mi permetto osservare che la situazione è grave. Il ministro Gelmini insiste a percorrere, in materia di reclutamento, la vecchia e superata strada dello statalismo. Ci sono dieci posti per insegnare latino? Lo Stato abilita dieci insegnanti e li assume. Con questo non solo si escludono da quei posti gli altri concorrenti, come è giusto, ma li si esclude anche dall’abilitazione a insegnare, per cui non possono cercare lavoro da un’altra parte. Questa è l’ingiustizia che il ministro Gelmini sta perpetuando, un’ingiustizia perché toglie ai giovani la possibilità di abilitarsi e di cercarsi il lavoro. Questo è il punto: nelle procedure di abilitazione che il ministro sta predisponendo c’è in gioco il diritto al lavoro. Sarebbe ragionevole uno stop per riflettere su una questione così grave e delicata. Il ministro dovrebbe chiedersi se la strada giusta non sia quella opposta all’attuale, ossia quella di separare abilitazione da reclutamento. Provi a riflettere su questo esempio. Un giovane dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza si sottopone all’esame di Stato, se lo supera può esercitare la sua professione. Mi pare una procedura semplice e ragionevole. Perché non si può fare lo stesso nella scuola? Un giovane prende la laurea breve, quella dei tre anni, dopo di che, se vuole insegnare, si iscrive e frequenta due anni di specialistica. Laureato concorre all’abilitazione. Semplice, no? Una volta abilitato decide di cercare lavoro, e lo fa come preferisce, o nelle scuole di Stato o in quelle paritarie. Sarebbe una procedura semplice e lineare, invece il ministro Gelmini vuol far coincidere abilitazione e reclutamento. Ma perché restringere così il processo di abilitazione? Perché escludere a priori dall’abilitazione tanti giovani che vorrebbero insegnare? Non è lo Stato che decide del futuro dei giovani, questo il ministro Gelmini lo deve capire, e possibilmente subito! L’altra questione che angustia il ministro è quella del precariato, che vorrebbe e dovrebbe risolvere al più presto. Ma su questo bisognerebbe procedere in modo ragionevole e non con un’approssimazione che produce danni. Quindi il ministro dovrebbe in primo luogo fare una "scrematura" dei precari e comprendere quanti siano effettivamente. In secondo luogo deve decidere se tagliare le classi come sta facendo – e allora dove mette i precari? – o razionalizzare il sistema creando i posti necessari per assumere i precari entro il 2013. Il ministro deve decidere: se continua a formare classi con trenta e più studenti, altro che precari, non ci sarà più posto per tanti insegnanti di ruolo...
Gianni Mereghetti, insegnante
Trovo, caro professor Mereghetti, la sua riflessione assai utile e assolutamente complementare al bel lavoro informativo e di commento di Enrico Lenzi e Giorgio Paolucci che abbiamo pubblicato ieri. Anche i suoi calibrati argomenti, caro amico, fanno capire quanto sia ingiusto il prezzo – fatto pagare a precari, giovani aspiranti insegnanti, ragazzi e famiglie – della mancata concreta evoluzione del sistema scolastico italiano verso quella scuola pubblica a due gambe – statale e non statale paritaria – che pure le norme descrivono e sulla carta organizzano da ormai dieci anni (legge Berlinguer). Quando certi indignati paladini della scuola solo statale lo capiranno, sarà sempre troppo tardi. Non sarebbe male se, intanto, lo capisse il ministro.
Marco Tarquinio