I risultati delle prove Invalsi presentati il 10 luglio scorso hanno mosso clamore. Hanno rilevato una carenza di alfabetizzazione nelle competenze di base. Un problema reale, che va affrontato con serietà. Ma occorre fare attenzione a leggere questi dati: rilevano una dimensione problematica del nostro processo di istruzione, ma non possono essere assunti per dare un giudizio complessivo sulla scuola.
Inoltre limitarsi a porre l’accento su un’Italia a due velocità è non solo troppo semplice e banale, ma anche pericoloso. È un’idea che rischia di dividere sempre più il Paese e persino di frantumare la nostra democrazia. È necessario non fermarsi al dato, ma interrogarlo cercando di andare alle radici del problema. Perché la scuola è in difficoltà? La questione va riportata solo alla capacità degli studenti di apprendere? Solo alla capacità dei docenti di insegnare? O c’è dell’altro? Forse alla scuola manca qualcosa, qualcosa di essenziale affinché possa rispondere al suo mandato? Alla scuola italiana è stato dato quello che è necessario per il suo buon funzionamento? Prendiamo le 'Indicazioni nazionali per il curricolo', che costituiscono il documento di riferimento per l’attività formativa nelle scuole dell’obbligo.
Nella premessa si dice che la scuola deve offrire contesti di apprendimento capaci di sviluppare l’arco delle potenzialità di ogni studente: cognitive, affettive, relazionali, corporee, estetiche, etiche, spirituali e religiose. Le direzioni di sviluppo della persona si promuovono offrendo contesti che facilitano l’acquisizione dei vari linguaggi disciplinari: matematica, italiano, storia, lingua straniera, musica ecc. Un bel progetto formativo, che se applicato metterebbe le basi per la formazione di cittadini in grado di contribuire alla buona qualità della vita della comunità.
Ma le scuole sono fornite dei materiali necessari a organizzare questi contesti di apprendimento? Perché in certe zone non vengono offerte le stesse possibilità didattiche e organizzative che sono presenti in altre? E i docenti hanno ricevuto percorsi di formazione adeguati a sviluppare una buona didattica? Siamo sicuri che basti conoscere una disciplina per mettere in atto un buon insegnamento? Neil Noddings, già docente di matematica e poi importante teorica di filosofia, a un certo punto si rende conto che nonostante il suo impegno a preparare le lezioni gli studenti non raggiungono gli obiettivi attesi. Così ripensa al suo modo di essere docente, cerca di capire i punti critici e arriva a ipotizzare che a mancare non sono gli strumenti didattici, non è la sua capacità di costruire con competenza le unità di apprendimento, non è la sua sapienza della matematica, ma è la mancanza di una pratica di cura della mente degli studenti.
Il filosofo spagnolo Ortega y Gasset sosteneva che il problema essenziale dei contesti di formazione è di riuscire a mostrare la necessità di apprendere: non solo fare capire allo studente l’importanza di studiare cose (matematica, storia, scienze, ecc) per le quali egli fatica a vedere una immediata necessità, ma anche a sviluppare la passione ad apprendere. Una buona scuola ha bisogno di buone risorse, materiali e immateriali. Ha necessità di edifici dove stare bene insieme, di materiale per allestire contesti didattici significativi; ma ha bisogno anche di personale docente qualificato, e per questo ai docenti vanno date le giuste opportunità di formazione, e poi va promossa una cultura che riconosca il valore dell’educazione e non si limiti a ricordarsene solo quando accade qualche caso eclatante.
Cosa vogliamo attendere ancora per costruire una scuola che sappia nutrire la mente dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze affinché ai giovani cittadini italiani vengano offerte tutte le occasioni necessarie per apprendere a pensare in grande e bene, per essere capaci non solo di inserirsi nel mondo del lavoro, ma essere artigiani di cultura e architetti di democrazia?
Filosofa e pedagogista, Università di Verona