Caro direttore,
conosco la lunga storia di impegno giornalistico di “Avvenire” sulla prostituzione e ho letto e condiviso totalmente nelle scorse settimane l’articolo di don Aldo Bonaiuto sul tema. Ma con molto imbarazzo vorrei approfondire il tema della “riduzione del danno”. Queste parole non spiegano i miei pensieri, cercherò perciò di chiarire con un esempio. Percorrendo le strade attorno al mio paese si vedono spesso giovanissime ragazze sul ciglio della massicciata e mi viene da pensare che la legge Merlin ha, sì, chiuso i bordelli, ma non ha cancellato la prostituzione, semplicemente l’ha spostata sulle strade; ha, sì, tolto le ragazze dalle grinfie di esseri squallidi come le maîtresse, ma solo per darle in pasto a criminali ancor più violenti. Allora non sarebbe “meglio” e uso questa parola con molto imbarazzo, se queste ragazze potessero svolgere la loro azione non alle intemperie, ma in un ambiente minimamente confortevole; avere la possibilità di lavarsi, disinfettarsi dopo un rapporto, avere la possibilità di chiedere aiuto nel caso il “cliente” diventi violento. Non intendo minimamente giustificare chi sfrutta queste donne; mi rendo conto che sto tentando di giustificare la resa della società che non riesce a estirpare una piaga; al tempo stesso però non posso non pensare che non si sta parlando di questo o quel ministro del-l’Interno: la battaglia contro la prostituzione è stata persa in ogni luogo e in ogni tempo, per questo mi azzardo a chiederle se la “riduzione del danno” non sia al tempo stesso l’ammissione di una sconfitta e il tentativo di rendere meno drammatica la vita di queste persone. La ringrazio se vorrà aiutarmi a capire meglio la realtà.
Elio Negri
Comprendo la sua retta intenzione, caro amico. Ma quell’antica e violenta forma di riduzione di persone umane a merce che chiamiamo prostituzione non è mai “riduzione del danno”. In quel commercio non c’è conforto né giustizia per le strumentalizzate. È c’è la moltiplicazione di una logica della sopraffazione, che sfregia le donne e l’umanità. Questo danno va fatto finire, senza se e senza ma.