Sono stato sinceramente sorpreso nello scoprire l’incredibile ritardo storico di tanti uomini e donne di governo, in specie tedeschi, nel visitare luoghi come Auschwitz e lo Yad Vashem, il, Memoriale della Shoah di Gerusalemme. È parte di una serie infinita di comportamenti da cui sembra evincersi che siano troppo pochi coloro che hanno coscienza concreta della storia dello Sterminio voluto dai nazisti e in definitiva della Seconda guerra mondiale. Ci sono persino sindaci italiani che definiscono Auschwitz «divisivo». Divisivo? Auschwitz è una voragine senza fondo, l’abisso che mostra la lacerazione totale dell’umanità in due, in cui le zone grigie, anche se nella pratica sono esistite, vengono stritolate dal peso di un crimine inemendabile. Pietre d’inciampo che si negano perché porterebbero nuovo odio e divisione, come se la storia da cui nascono non sia stata già semina tremendamente fertile di mostruosità che solo in parte conosciamo, come se l’odio venisse dalle pietre e non dagli uomini.
Questi e altri fatti mostrano una stessa realtà: la assoluta distanza umana, effettiva e affettiva, dal cuore della tragedia che non è fatto di eventi e cronologie, pedine da spostare sullo scacchiere di un risiko del terrore, ma di singole storie umane, di una infinita collana di sofferenze che si sommano una dietro l’altra nelle vite di ognuna delle persone coinvolte.
Chiamarle vittime è già una presa di distanza, perché in qualche modo il fato sta nella definizione. No. Non sono vittime: sono noi. Sono noi ora, e lo sono state a suo tempo, e lo sarebbero state compiutamente se qualcuno non fosse venuto a strappare loro le viscere dell’esistenza così, senza ragione, per un capriccio perverso. Capriccio fatto di singoli uomini, che definire carnefici è autoassolvente. Non erano carnefici come gli altri non erano vittime. Erano, sono, tutti uomini. Erano, sono, noi. Questo è il fulcro sconvolgente da cui si deve sempre ripartire. Uomini. Il cui destino si stende come un’ombra anche su di noi, rischiando di renderci miopi. Uomo di fronte a uomo. Il vestito militare è una copertura. I graduati e gli ufficiali nazisti erano commercianti, insegnanti di scuola, impiegati assolutamente normali. Uniforme e stellette hanno liberato la loro natura orrenda. Oggi un uomo 'normale', domani il boia di centinaia di migliaia di altri come me. Più ci si sforza nell’immedesimazione più si perde il senso delle cose. Eppure questo è il punto: si deve permanere nella percezione viva e costante di questo nonsenso così destabilizzante, al limite del disordine mentale, che non è fatto di figuranti, vittime o carnefici. È molto più vicino: è fatto di noi.
Si direbbe meglio tardi che mai. Credo che la scelta del presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier di pronunciare il discorso allo Yad Vashem in ebraico sia stata estremamente simbolica. Ma ancor più mi sento di condividere questo suo pensiero, che ritengo scontato ma inedito se pronunciato da una carica politica tedesca: «Mi piacerebbe poter dire che (noi tedeschi) abbiamo imparato dalla storia una volta per tutte, ma non posso dirlo, gli spiriti del male stanno ritornando sotto nuove spoglie».
L’unica cosa che toglierei è quel «noi tedeschi». Non vi sono limiti di nazionalità, di geografia, di appartenenza. Vi è l’uomo. Ci siamo noi con la nostra ineludibile responsabilità, con la nostra camaleontica omissività, con la nostra capacità di fare scelte e pagarne il prezzo, che a volte è in grado di salvare un barlume di umanità.