Gentile direttore,
le scrivo in merito al referendum per la riduzione del numero dei parlamentari che si terrà tra pochi giorni. Nelle posizioni espresse sia dalla società civile sia dagli stessi po-litici, ho notato una mancanza di fondo, che a mio avviso rende 'inutile' il referendum a prescindere dal suo esito. 'Inutile' è parola forte, eccessiva, che spero di riuscire a spiegare. Pensiamo davvero che la politica si risolleverà dalla sua crisi con un cambio delle strutture? Non è qui mia intenzione commentare la validità o meno della proposta attuale. Il Sì e il No sono entrambe posizioni lecite e da ambo le parti sono esposti dei temi da valutare con attenzione. Credo però che la riflessione che debba essere fatta sia un’altra: la classe politica, noi stessi, stiamo poggiando la fiducia per una migliore politica, nelle strutture, in un miglioramento delle strutture. Sfugge nella discussione, a mio parere, che non sarà automatico avere un migliore Parlamento né una migliore classe politica senza una presa di coscienza della società che la politica è un bene, ed è un bene prezioso. Su cosa si fonda la nostra speranza? Su un cambiamento strutturale? Come se dal giorno dopo (in caso di vittoria del Sì) non sentissimo più la politica delle urla e degli slogan, ma trovassimo all’improvviso persone impegnate nella ricerca del bene comune. Non è questione di strutture, di regolamenti, è questione di coscienza, di vedere nell’altro, anche nell’avversario politico, qualcuno con cui lavorare; ecco perché, che vinca il Sì o che vinca il No, il referendum è 'inutile' senza questa metamorfosi. Abbiamo bisogno di una politica più vicina ai cittadini e di cittadini più vicini alla politica. Per questo ogni tentativo che non si fondi sulla persona ma solo sulle regole, sulle modalità, è destinato presto o tardi a fallire.
Andrea Mobiglia
Caro direttore,
chi ha deciso di votare no al taglio dei parlamentari propone con enfasi argomentazioni a mio parere infondate o paradossali. Attacco al Parlamento? Non è vero. Il taglio è stato votato 4 volte dal Parlamento, l’ultima volta con oltre il 90% dei voti, ed è stato auspicato da varie Commissioni parlamentari il cui lavoro è stato sempre accantonato. A screditare il Parlamento non è la riduzione dei parlamentari ma sono alcuni fenomeni degradanti (essi sì generatori di populismo): logiche clientelari, liste bloccate e candidati paracadutati nei collegi (altro che rappresentanza territoriale!), diffuso assenteismo (a lavorare oggi sono metà dei parlamentari), alcuni privilegi economici, pratiche corruttive... Il taglio non elimina automaticamente tali vizi ma può ridurli e obbligare i partiti a cambiare volto. Manca una vera riforma 'complessiva'? La vittoria del Sì può aprire gradualmente un cammino riformatore, come sta già avvenendo, in ambito elettorale e regolamentare. Il 'benaltrismo' è sempre deleterio. Il massimalismo (o tutto o niente) è paralizzante. Se non si comincia a cambiar qualcosa non si cambierà mai nulla. Contro la Costituzione? Non è vero. Il referendum riguarda tre articoli già modificati nel 1963, quando il numero elevato dei parlamentari poteva essere giustificato in assenza di parlamenti regionali, del Parlamento europeo e di altre forme di partecipazione politica e civile. Avvilisce la rappresentatività? L’Istituto Cattaneo (con 200 giuristi per il Sì) dimostra che il passaggio da 945 parlamentari a 600 garantisce ampiamente la rappresentatività e ci colloca a fianco di altri Stati europei. Il taglio del terzo Parlamento più numeroso al mondo può rendere snella e qualificata una politica a servizio non di questa o quella corporazione, di questo o quel campanile, ma 'della Nazione' e 'senza vincolo di mandato' (come dice l’articolo 67 della Costituzione). Cioè del bene comune, della democrazia.
Sergio Paronetto
Gentile direttore,
tagliare il numero di parlamentari non è una ferita ai privilegi della politica, ma ai diritti degli elettori. Le forze politiche più influenti - da destra a sinistra - sono tutte concordi nel promuovere questa trasformazione. La ragione è semplice, e va ben oltre la ricerca del consenso facile. Non avremo infatti strutture più 'snelle', ma solo strutture più facilmente controllabili dai partiti animati da ambizioni maggioritarie. La rappresentanza parlamentare deve essere ampia, diversificata e bilanciata, sul piano territoriale e sociale. Deve dare voce anche alle periferie e alle minoranze. Deve garantire il diritto al dissenso. Deve essere fedele ai risultati del voto, senza forzature. I paragoni con altre realtà del pianeta sono profondamente ingannevoli. La nostra Repubblica viene, ad esempio, messa a confronto con Stati federali come la Germania o gli Stati Uniti. Basti pensare che il solo Landtag della Baviera (assemblea legislativa monocamerale) ha 205 membri per circa 13 milioni di abitanti, mentre l’Alaska ha 40 rappresentanti nella Camera e 20 seggi senatoriali per 731.000 abitanti. È come se in Italia, con le dovute proporzioni, ci fossero quasi 5mila parlamentari. Il potere non può e non deve stare nelle mani di poche persone. No.
Pasquale Palmieri
Gentile direttore,
si parla tanto del referendum sul taglio o meno del numero dei parlamentari, io le scrivo di un tema collegato: ho ormai 78 anni e da quando sono state tolte le preferenze per la elezione dei candidati politici non sono più andata a votare. Infatti, come prevedevo, ci ritroviamo con la maggior parte dei parlamentari non all’altezza del compito che gli italiani si aspettano dai deputati di una Repubblica. Le preferenze davano al cittadino la possibilità di vagliare l’onorabilità, la serietà, la cultura, la competenza di chi si candida. Ora invece le liste elettorali sono soprattutto formate da persone che, ad arte, si sono inserite nel contesto politico di riferimento, spesso senza alcuna idonea referenza. Però di questo nessuno ne parla, nessuno che inizi a far comprendere che non devono essere i dirigenti di partito a scegliere i futuri parlamentari, ma il popolo degli elettori. Siedono in Parlamento persone, che se ci fossero state le preferenze, non sarebbero stati votati nemmeno da parenti ed amici. Per ridare dignità e onorabilità alle nostre Istituzioni bisogna restituire al cittadino il giudizio della idoneità dei candidati. La prova di quanto asserisco è dato dal fatto che il nostro bravissimo presidente Sergio Mattarella al momento della sua elezione non era più da tempo un parlamentare, ed è stato scelto in quanto tra quelli che in Parlamento sedevano non vi era nessuno che dava le stesse garanzie per ricevere un compito così importante per la nostra Repubblica. Non faccia cadere questa mia lettera nel nulla, direttore: ricordo che in passato lei si è speso su questo tema, ma da un po’ non lo fa...
Albina Ferrara
Attendo con inquieta serenità l’esito del referendum per il quale siamo chiamati a votare tra domenica e lunedì mattina prossimi, qualunque esso sia. Sono sereno, perché un Paese dove si scrivono lettere a un giornale come queste a cui sto rispondendo non deve temere nessun cataclisma a seguito di una scelta pur forte come la possibile riduzione di un terzo abbondante di chi lo rappresenta nelle assemblee elettive che sono il cuore e il fulcro della nostra democrazia. O dal rigetto di questa soluzione. Mi dà serenità rispecchiarmi nella qualità e nel garbo delle diverse argomentazioni nonostante i tempi funestati sempre più spesso dai dibattiti irriflessivi, assurdi e violenti che i canali comunicativi della nostra modernità digitale incentivano. Nelle vene civili d’Italia scorre ancora e sempre sangue buono e anche attraverso i social si riesce a ragionare e capire di che cosa si parla e a non farsi schiacciare nello schema piatto e triste della contrapposizione senza ascolto e senza profondità. Sono inquieto, perché mi sono dovuto occupare così a lungo nella mia vita di giornalista di riforme istituzionali ed elettorali da non nutrire grande fiducia nella capacità di procedere in modo coerente e sensato, magari per tappe successive, sulla strada della revisione della seconda parte della nostra Costituzione e di darci regole di voto che aiutino a riavvicinare, come suggerisce il signor Mobiglia nella prima lettera di questa pagina, cittadini e politica e la politica al popolo. Ma spero ancora. E so che a questo fine – come ricorda a tutti, e anche a me, nella sua lettera la signora Ferrara – la strada passa per la possibilità di indicare per davvero i propri rappresentanti in Parlamento. Per anni ho suggerito anch’io che questo avvenisse con il ritorno alla preferenza (unica, o doppia nel caso di indicazione di genere diverso, per un uomo e una donna) oppure con l’adozione di collegi uninominali dove i concorrenti siano designati dal basso tramite elezioni primarie e non 'paracadutati' dall’alto a discrezione dei soli capi di par- tito, come annota il professor Paronetto nella sua analitica dichiarazione di voto per il Sì. Eppure so, e non dimentico, che questo serve all’Italia e agli italiani. E penso anche – riprendendo, a mio modo, una suggestione che emerge dall’intensa dichiarazione di voto per il No dello storico Palmieri con la sua rapida rassegna dei rappresentanti eletti nei sistemi federali – che bisognerà pur decidersi a ridare equilibrio alla suddivisione delle competenze tra Stato e Regioni e a dare compiutezza e più strutturato raccordo 'centrale' (ripensando il Senato) a un’architettura regionale nella quale trovano ruolo più di mille (oggi 1.111, se non sbaglio) consiglieri regionali. Detto questo, dico chiaro che cosa trovo gravemente sbagliato in certi slogan per il Sì assai lontani dalle attese e dalle preoccupazioni accolte in questa pagina. È grave che si continui a propagandare un’idea mortificante del Parlamento, da 'tagliare' e 'bonificare' come se si trattasse di un lusso che possiamo non permetterci o di un covo dal quale snidare malviventi. Quando si scuote così l’albero della democrazia, non poche volte i frutti li raccolgono avventurieri e mascalzoni. In certi slogan per il No trovo invece assurdo il tono da 'fine del mondo'. La democrazia non è a rischio per una diversa modulazione della rappresentanza parlamentare. Non è a rischio sino quando la teniamo viva, dall’alto e dal basso. Il punto è questo, non ci distraiamo. E non rinunciamo a fare migliore la politica e il suo linguaggio e più aperti, trasparenti e democraticamente organizzati (ah, la Costituzione inapplicata!) i partiti e i movimenti. P.S. Personalmente voterò No, ma con tristezza. Avrei voluto poter dire Sì, come forse si è capito, alla riduzione dei parlamentari nell’ambito di una calibrata riforma del nostro Bicameralismo paritetico e, appunto, delle modalità di composizione di Camera e Senato. La gente d’Avvenire sono certo che dirà Sì o No con coscienza limpida e nella consapevolezza del gran lavoro che, in ogni caso, servirà per rifare prossimi coloro che governano e scrivono le leggi e i cittadini.