«È una tiepida mattina di ottobre e penso che sia bello andare a conoscere i bambini di I elementare, che da poco hanno iniziato la loro fatica scolastica. Entro in una delle due classi prime e la maestra mi presenta ai bimbi: "Bambini, conoscete questo signore?". Tanti alzano la mano; mi conoscono, mi vedono per strada, ai parchetti, qualcuno si ricorda della mia visita in casa sua per un qualche motivo, altri ricordano addirittura il mio costume di carnevale, alcuni mi vedono in Chiesa: "È il don Pier!". Ma quando il silenzio riprende il sopravvento, la voce di un bambino mingherlino si fa sentire in tutta la sua acutezza: "Anch’io lo conosco: lui è quello lì che prega!". Lasciatemelo dire: questo bambino ha capito tutto e ha colpito nel segno! Mi sarebbe piaciuto chiedergli: "Sai chi sono i cristiani?". E mi avrebbe fatto un immenso piacere riascoltare la stessa identica definizione: "Loro sono quelli lì che pregano!". Sissignori: i cristiani non sono quelli che prima di tutto fanno miliardi di cose sante. Sono quelli che fanno la prima cosa santa: tenere un legame stretto e profondo con Dio. Cioè pregare. E tra pregare e dire delle preghiere, c’è un abisso. C’è chi recita le preghiere e c’è chi prega. Gli uni sono attestati sul versante aspro e tetro del dovere, gli altri sulla sponda vertiginosa e inebriante dell’amore. I primi si preoccupano del numero, della quantità, dell’esattezza; agli altri sta a cuore l’intensità della comunione, la qualità della relazione. Da un lato ci si aggrappa a un sacco di parole, dall’altro si ha molta familiarità con il silenzio. Gli uni 'sanno' le preghiere, gli altri non sanno dove porta la preghiera. Gli uni sono recitanti, gli altri oranti. Il recitante percorre la preghiera come un’autostrada, dove tutto è previsto, regolamentato, segnalato: importante è arrivare, lui ha pagato il pedaggio. L’orante esplora il bosco sconfinato della preghiera, cercando di scoprire una presenza nuova e inattesa. Ho quasi l’impressione che tanti adolescenti, giovani e anche adulti, che troppo frettolosamente hanno chiuso a chiave la porta in faccia a Dio, in realtà non hanno mai sperimentato il fascino della preghiera. Sì, magari da piccoli hanno "detto tante preghiere", finendo col provare noia e monotonia. Non hanno però mai provato la freschezza di un rapporto vero, sciolto, sorprendente, da cuore a cuore con Dio. Chi ne fa esperienza, resta sedotto per sempre. Approfittate della presenza di pace e di tranquillità come l’Oasi dietro la Basilica o qualsiasi altro posto! Approfittate delle occasioni che vi capitano! Approfittatene e rimarrete contenti! E capirete che quel bimbo mingherlino si è rivelato più sapiente di tanti sapienti. È proprio così: i cristiani sono quelli lì che pregano!».
don Pierluigi Torriani
Caro direttore,quello che ha appena letto è un articolo intitolato "Quelli lì che pregano", scritto da don Pierluigi Torriani. Nato nel 1963 e prete della diocesi di Milano dal 1987 (eravamo compagni di classe), è morto prematuramente, dopo breve e aggressiva malattia, lo scorso 22 giugno. Dall’ottobre 2005 era parroco a Vizzolo Predabissi (Melegnano) e l’articolo che qui trascrivo è ambientato in quella parrocchia. È tolto da un volume (titolo: "Rilassati e credi al Vangelo", una simpatica storpiatura di don Pier alle parole pronunciate dal sacerdote quando impone la cenere sul capo dei fedeli: "Convertiti e credi al Vangelo") in cui i parrocchiani hanno raccolto gli articoli scritti da don Pierluigi sul giornalino parrocchiale. Condivido con lei una riflessione che va alla radice, secondo una modalità benefica, del nostro essere cristiani. È un modo per esprimere il mio grazie a lei e a chi lavora per Avvenire. Se poi valutasse l’eventualità di pubblicare lo scritto, il bene che ci siamo scambiati potrebbe raggiungere altre persone.
don Umberto Dell’Orto, Venegono Inferiore (Va)
Vorrei, caro don Umberto, dirle semplicemente grazie per aver regalato a me e a tutti noi di Avvenire – mi viene da dire “quelli lì che ci lavorano” e “quelli lì che lo leggono' – una pagina che è un piccolo grande tesoro. Non ho avuto modo di conoscere don Pier, o meglio non l’avevo avuto fino a questo momento. Ci sono parole che ti consegnano tutta intera la verità e la profondità di una persona. E mentre leggevo la lettera ai parrocchiani di questo sacerdote ambrosiano ho capito e sentito quanto dev’essere stato “speciale”, ma al tempo stesso mi sono reso conto di averlo già incontrato. Mi sono passati davanti agli occhi i volti di padri e maestri, di madri e maestre, che mi hanno insegnato a parlare con Dio e a «non chiudergli la porta in faccia». Questa, caro don Umberto, è davvero la grandezza dello «scambiare il bene»: ogni bene fatto e ricevuto, richiama e rifà attuale ogni altro bene.