domenica 16 maggio 2010
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Caro direttore,mi ha molto colpito la riflessione titolata «Nuvola bianca», pubblicata su Avvenire dello scorso 30 aprile. È davvero una storia tenera e toccante quella descritta dal bravissimo Giovanni D’Alessandro: due anziani che, in poco tempo, sono passati dallo spingere i carrozzini dei nipotini, alla carrozzella su cui sta uno dei due, e che ciononostante mostrano reciprocamente ancora segni di affetto. Mi sono commosso, perché sto vivendo anch’io la stessa storia: mia moglie, con la quale ho condiviso sofferenze e gioie lungo tutta la vita insieme e che con me ha spinto le carrozzine dei nipoti, è ora su una sedia a rotelle ammalata di demenza senile. Non mi parla più, non cammina più con me e solo gli occhi mi fanno sentire che l’amore tra noi è immutato. Mi creda: non è facile assistere una persona le cui funzioni cognitive (pensare, progettare, ricordare) sono state devastate dall’Alzheimer in un periodo, come quello che stiamo attraversando, di ridotte disponibilità economiche e anche di ridotta attenzione sociale ai problemi della sofferenza.

Lorenzo Daniele, Roma

«Nella gioia e nel dolore, in salute e nella malattia...». La sua lettera, caro signor Lorenzo, mi ha fatto tornare alle labbra la promessa nuziale che anch’io porto nel cuore e che ho visto e continuo a vedere realizzata, in molti modi diversi, nei «giorni della vita» di tanti. L’impegno ad «amarsi» e «onorarsi» di un uomo e di una donna, la scelta di costruire insieme una famiglia e un progetto, è quanto di più intimo e coinvolgente possiamo immaginare eppure non è mai solo un affare privato. Lei, ispirato dal bel testo di D’Alessandro e segnato dalla sua esperienza, ha saputo ricordarcelo con estrema delicatezza eppure con grande forza. Gliene sono grato, gentile amico. Vorrei che chi ha responsabilità politiche fosse raggiunto dalle sue parole e ci riflettesse su. Nel tempo di crisi in cui siamo immersi dicono con sobria e straordinaria efficacia del valore del matrimonio e dei doveri di solidarietà e di assistenza degli inabili che una società civile, capace di un welfare maturo e sostenibile, dev’essere sempre in grado di riconoscere e garantire.
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