Quanto pesa il tradimento della realtà: quando i media fanno guerra alla pace
martedì 8 novembre 2022

A Roma ha preso corpo una grande manifestazione di popolo punto di arrivo e di ripartenza di una vasta mobilitazione pacifista che unisce laici e cattolici, e che prende sul serio il Vangelo e i valori costituzionali e con realismo non dichiara equidistanza nella guerra d’Ucraina, ma vive l’equivicinanza con tutte le vittime e il ripudio dell’uso della violenza armata. Ma è stata raccontata come scena del “teatrino della politica”. Un’offesa alla verità e anche al popolo ucraino


Gentile direttore,
con tanta delusione sabato sera, desiderosa di avere notizie sulla Manifestazione per la Pace, ho ascoltato al Tg1 una serie di servizi che sono stati assolutamente fuorvianti rispetto allo spirito della manifestazione di Roma. Seguo da sempre su “Avvenire” la sensibilizzazione sul tema della pace; ho partecipato alla marcia Perugia-Assisi nell'ottobre scorso; seguo tutte le news del Comitato organizzatore e in particolare ho letto i documenti propositivi sul dovere di fermare le ostilità e aprire un dialogo politico-diplomatico che ben esprimono proposte concrete e attuabili per un cammino di pace. Analoghi sono i propositi di tutti quegli italiani, e sono tanti, come i numeri di ieri hanno dimostrato, che vogliono impegnarsi in tal senso. I cronisti del principale tg Rai invece hanno dato spazio solo ai politici, oltretutto in contrapposizione tra loro nelle manifestazioni di Roma e di Milano, senza minimamente dar voce agli organizzatori e al popolo che ha partecipato, ancor meno evidenziando le proposte concrete di pace. Se questa è informazione, continuerò a tenere spenta la tv, come mia consuetudine da tempo. Ringrazio invece lei, direttore Tarquinio, e i tanti cronisti che dalle pagine di questo giornale e in tante occasioni, penso ad esempio al Festival di Emergency, hanno dato voce concreta alla costruzione di un futuro migliore e possibile con le loro testimonianze sulla realtà della guerra e i loro fondati e accorati appelli alla pace. Di questo abbiamo bisogno.

Ornella Gallotti

Caro direttore,
grazie infinite per lo sforzo profuso, con tante altre persone di buona volontà, nell'organizzare la grande manifestazione di sabato 5 novembre a Roma! Che tristezza vedere come i media, i tg, i giornali, abbiano negato la parola ai veri organizzatori della manifestazione, impedendo alla gente di sentire i loro importanti messaggi, riducendo il tutto a una questione politica! Io non ho potuto andare a Roma, ma ho cercato di seguire tutto con grande attenzione: ebbene è stato quasi impossibile; non c'è stata una diretta tv, solo su YouTube era possibile vedere la manifestazione, ma non con i mezzi tecnici (buona regia, droni...) che avrebbero permesso di comprenderne la portata... Quanta menzogna! Ma certo non ci arrendiamo, perché sappiamo che chi segue il vero viene messo a tacere, ma il bene si fa strada comunque. Speriamo che si prosegua tutti insieme, nella consapevolezza che, anche se chi ha il potere mediatico ci zittisce, stiamo portando avanti ciò che la gente ha in cuore. Sinceramente penso che se si facesse in questo momento un referendum (finalmente utile, a differenza degli ultimi referendum incomprensibili alla gente!) con semplici quesiti «Sei favorevole a che l'Italia cessi di fornire armi all’Ucraina?». «Sei favorevole a una richiesta all'Onu e alla Nato di bandire le armi nucleari?», vincerebbero due limpidi sì. Speriamo che prima o poi ci facciano dire la nostra. Speriamo che alta politica e diplomazia facciano cessare stragi e distruzioni. Con l'intercessione di Maria, regina della pace e di tutti i santi protettori d'Italia e d'Europa, uniti a papa Francesco. Buon lavoro!

Agnese Migliore

Caro direttore,
conoscendo l'equilibrio sempre dimostrato dal suo e nostro quotidiano sulla guerra russo-ucraina, vorrei chiederle una sua parola chiara che elimini gli equivoci disseminati nel mondo cattolico dalla presenza ufficiale di organizzazioni cattoliche alla manifestazione odierna (di ieri, ndr) di Roma. Sappiamo che è stata voluta da un partito populista e subito sostenuta dalla Cgil che ha messo a disposizione un gran numero di pullman da ogni regione italiana. Abbiamo sentito le grida – in verità molte contro l'aggressione di Putin – ma molte altre, come richiesto dal presidente di un partito organizzatore, «contro le armi all'Ucraina», come per dire: vogliamo che l'Ucraina si arrangi e se sarà facilmente conquistata da Putin peggio per lei. In breve, ciò che mi ha scandalizzato non è la libera espressione di una parte amica di Putin, compresi altri leader politici italiani, ma che dei cattolici si siano uniti a un evento che alla fin fine è anche antieuropeo (dopo l'Ucraina Mosca si prenderà la Polonia e poi i Paesi Baltici), ma soprattutto confuso anche, a mio avviso, nel farsi scudo in maniera non corretta delle parole di papa Francesco e delle dichiarazioni del presidente Mattarella. Che singoli cattolici fossero presenti è nel loro diritto, ma che le associazioni cattoliche si unissero agli amici di Putin questo mi pare scandaloso. A tal proposito, caro direttore, cosa può dire ai suoi lettori per eliminare dubbi ed equivoci? Nel ringraziarla le invio i miei più cordiali saluti.

Giampiero Rorato


Ci sono almeno tre grandi problemi sulla via della pace tra Russia e Ucraina e Occidente e, prima ancora, nella costruzione di una cultura e di una politica della pace in un mondo segnato da una drammatica e diffusa condizione bellica alimentata anche da un mercato delle armi fiorente e minaccioso come non mai. Il primo e fondamentale nodo è, come chiunque può constatare, e come papa Francesco indica da tempo rivolgendosi in questo momento soprattutto a Mosca e a Kiev, ma anche a ogni altro “potente”, è la volontà politica ovvero la disponibilità concreta delle parti belligeranti (e più o meno apertamente co-belligeranti) a fare passi concreti verso soluzioni negoziali di controversie e scontri, rinunciando ad accumulare ancora – l’ho scritto e detto molte volte pure io – morti e distruzioni per “dare gambe” asimmetriche al tavolo della trattativa, facendolo inclinare a proprio vantaggio. Vale per l’Est europeo come per ogni altre parte della Terra. La guerra è sempre frutto di un cinico calcolo e, nel suo aspetto più umanamente comprensibile, della convinzione assoluta delle proprie ragioni e del torto irrimediabile dell’altro. ll secondo problema è la scia di errori, sottovalutazioni e aggressioni reciproci commessi (da Est come da Ovest) negli ultimi trentatré anni nella gestione del dopo-Guerra fredda. Non la faccio lunga, e mi limito ad annotare che tutto ciò ha fatto sì che restassero in circolo potenti tossine del passato e si rivitalizzassero vecchie contrapposizioni, sebbene categorie e ruoli di sinistra e di destra, di democratico e di antidemocratico siano ormai sconvolti (la Mosca di Putin, tanto per fare un esempio, no n è “rossa” è “nera”). Il terzo e ultimo nodo è il ruolo giocato dalla libera informazione. Tornando a Roma dal Bahrein, papa Francesco, lo ha fatto emergere alla sua maniera: «E voi giornalisti – ha detto, rivolgendosi proprio alla mia categoria – siate pacifisti, parlate contro le guerre. Ve lo chiedo per favore». Il Papa lo chiede con questa semplice chiarezza, perché è purtroppo altrettanto chiaro che, soprattutto negli ultimi otto mesi, dopo l’inizio della seconda fase del conflitto russo-ucraino, con l’invasione militare decisa da Vladimir Putin, disponiamo oggi anche di buona e coraggiosa informazione “dal campo” e a livello di analisi, ma il sistema mediatico – a Est come a Ovest – o è disinteressato alla guerre o si dimostra incline ad allinearsi in modo impressionante e preoccupante, e per molti aspetti inedito nella storia del nostro giornalismo, su posizioni belliciste e, spesso, aggressivamente distorcenti o semplicemente censorie (nel senso della cancellazione) delle posizioni e delle ragioni di quanti, da subito, hanno cominciato a spendersi contro una guerra già endemica, che nessuno era in grado di vincere neanche con l’aspra accelerazione decisa da Mosca, e apparsa subito avviata a una rischiosissima escalation. Ho scelto le tre lettere che precedono queste mie note, proprio perché mettono il dito in quest’ultima piaga. La deformazione dell’impegno per la pace – ovvero della resistenza alla guerra e dell’ambizione di replicare in modo forte, ma nonviolento all’ingiustizia – ha toccato un nuovo culmine in occasione della grande manifestazione del 5 novembre a Roma, indetta dalla rete Europe for Peace e punto di arrivo e di ripartenza di una mobilitazione che per mesi ha popolato piazze e luoghi di riunione in tutt’Italia. È accaduto – tanto, troppo – proprio ciò che segnalano le lettrici Gallotti e Migliore (le ringrazio per l’onesta schiettezza e per la fiducia nel nostro lavoro d’Avvenire) e che, a suo modo, il signor Rorato conferma, chiedendomi conto non di quel che è successo, ma di quel che si racconta che sia successo su giornali e in servizi televisivi e radiofonici ostili alla manifestazione. Un evento di popolo, promosso “dal basso” e che ha coinvolto in diversi modi (non solo con la presenza fisica a piazza San Giovanni in Laterano) tanta parte della società italiana, del mondo sindacale, della Chiesa cattolica e di altre confessioni religiose, e alla quale hanno dato adesione (con l’impegno a esserci senza bandiere) anche alcuni soggetti politici, chiamati ora a dare seguito coerente nelle sedi proprie al gesto di piazza, è stato raccontato come una scena ulteriore di quello che più di qualcuno ha definito “il teatrino della politica”. Ed è stato immaginato e impaginato nella logica bellica binaria “con Putin” o “con l’Ucraina”, che non contempla la possibilità di una posizione mai neutrale nei confronti dell’aggressione e, dunque, non equidistante nel conflitto in atto, ma equivicina alle vittime e inflessibile nel denunciare lo scandalo di una politica che continua ancora a considerare e usare la guerra come strumento legittimo. Io stesso, sabato scorso, ho camminato per la pace lungo le strade di Roma dietro e accanto a ucraine e ucraini con tanto di banda musicale, eppure si è giocato, ed è stato un gioco politico sbagliato che ha contato su pigre o compiacenti complicità mediatiche, a fare di un’altra piazza e di un’altra città, Milano, il luogo della pace secondo il cuore degli ucraini e in contrapposizione con la realtà dell’azione e dell’impegno delle reti pacifiste. Un’offesa alla verità, e anche al popolo ucraino. È vero, infine, che a Roma c’era – come forse mai prima, e spalla a spalla con persone attive in altre reti associative – un’infinità di uomini e donne, di ragazze e ragazzi, impegnati nell’associazionismo cattolico. È una gran bella notizia e una realtà protagonista per fede e cittadinanza, che non si può mettere in maschera o liquidare come gregaria. È una realtà fraterna, che sta imparando di nuovo a esercitare insieme questa condizione e questo mandato sulla scena pubblica e non solo nella sfera della prossimità sociale. Credo che sia bene comprenderla, parlarne con rispetto, anche tra cattolici, e continuare ad alimentarla. Come fa papa Francesco, e come ha fatto il presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi, ricollegando l’azione alla radice della fatica che chiamiamo storia: l umanità che si realizza e, per noi credenti, “somiglia a Dio” soltanto se ferma l’orgoglioso o odioso ritorno al gesto assassino di Caino.

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