mercoledì 7 aprile 2010
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Caro direttore,scrivo in merito alla lettera "A pezzi il mito della qualità totale" (Forum, 23 marzo); sono d’accordo che qualsiasi tecnica manageriale presa come assoluto può solo provocare danni. L’impiego ragionevole della tecnica della qualità totale può portare, come ha fatto, a miglioramenti notevoli, in termini di qualità di prodotto e di riduzione degli sprechi. Mi sembra che, ad esempio, le attuali automobili siano più affidabili ed efficienti di quelle anche di un recente passato. In fondo l’idea di base della qualità totale è una sola: fa bene il tuo lavoro e di conseguenza lo farai una sola volta, evitando sprechi, rifacimenti e danni al cliente e dall’esperienza accumulata potrai ottenere globalmente una qualità quanto più perfetta è possibile. Senza per questo pensare che, come in tutte le avventure umane, le ciambelle riescano sempre con il buco. Ma per far questo occorre documentarsi, istruirsi, esercitarsi e appassionarsi al proprio lavoro. Non mi sembra quindi che la tecnica della qualità totale sia tutta da buttare via. Certo vi è stato un affannarsi dei consulenti, certo anche aziende che proclamavano di aver adottato la qualità totale come base dello loro visione, ne hanno tradito i presupposti. Ma non credo che questo possa addebitarsi alla tecnica in sé, ma all’esistenza di tutto ciò che sinteticamente si indica come effetto del peccato originale, che è presente in ogni attività umana. Un’ultima annotazione: in passato spesso anch’io pensavo alla qualità delle costruzioni antiche, in particolare quelle romane, sino a quando un pensiero fulmineo mi ha attraversato la mente: noi vediamo solo le costruzioni che sono rimaste in piedi. Quelle di bassa qualità sono rase al suolo.

Giandomenico Beccaria, Milano

Sulle auto ha certo ragione lei. La verifica è alla portata di chiunque abbia la patente da più di un paio di lustri, confrontando gli intervalli di manutenzione delle vetture attuali con quelli delle loro «antenate». A titolo di esempio, mentre una volta era quasi sempre richiesto il cambio dell’olio ogni 5.000 chilometri, oggi l’intervallo di norma va dai 10 ai 20.000. Anche nei modelli attuali più economici il grado di sofisticazione e complessità tecnologica è incomparabile rispetto a quelli di veicoli, magari “importanti”, di qualche decennio fa. Affidabilità e sicurezza, per di più, sono cresciute considerevolmente. È anche evidente che la "forza" dei consumatori rappresenta un elemento che in passato non era neanche preso in considerazione e che oggi, invece, cambia i fattori in campo. Non mancano, certo, vicissitudini, inconvenienti, situazioni individuali di insoddisfazione, ma la cosidetta "cultura consumeristica" rende ormai eccezionali casi che in precedenza rappresentavano la norma, col cliente destinato quasi inesorabilmente a soccombere. Sono anche questi i benefici di un sistema produttivo e commerciale non privo di pecche, come sappiamo bene, ma che si è comunque evoluto. Sarebbe assurdo, quindi, vagheggiare il ritorno a un passato che, in questi ambiti, non ci restituirebbe molto di convincente e di conveniente. Mentre è opportuno valutare con ogni attenzione ciò che lo sviluppo ci mette a disposizione, ed è bene saper apprezzare il bene che c’è, per esempio, nella filosofia della «qualità totale» che trova la sua base nel principio della corresponsabilizzazione di ciascun lavoratore e implica l’archiviazione di quella spersonalizzazione propria della catena di montaggio. Insomma: la sostanza di questa «ciambella», caro amico, non è affatto male.
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