Caro direttore,
in Siria la guerra continua anche quando pare che stia finendo. Dopo la fine dei combattimenti a Deraa ora si attende una vera soluzione per Idlib. L’inviato Onu De Mistura cerca di evitare una strage ma la comunità internazionale rimane impassibile e attende la logica degli eventi. I quesiti sono numerosi: come snidare i terroristi senza infierire sulla popolazione civile? Fino a che punto i jihadisti possono essere pressati verso la frontiera? Come fare ad evitare un’altra ondata di profughi? I terroristi intrappolati possono tornare utili un domani per contenere i kurdi del Rojava? Vedremo come Mosca e Ankara implementeranno il loro accordo, visto che il ruolo dell’Occidente è ormai secondario. Oltre Idlib, in Siria rimane il problema della gestione post-conflitto degli altri combattenti: gli Hezbollah torneranno certamente in Libano; i battaglioni di sciiti stranieri hanno ricevuto promesse di terra e quindi resteranno; gli iraniani ancora non si sa ma Israele preme fortemente perché siano allontanati.
Esiste il tema di un 'cambio' di peso demografico tra maggioranza e minoranze, come scrivono alcuni sospettando che questi mesi siano utilizzati per modificare la geografia umana della Siria post-conflitto? Certamente la questione è pregnante per i cristiani che diminuiranno: ora stanno tornando nel Qalamoun, nei pressi di al Qusayr (dove ci fu la prima vittoria del regime), ad Aleppo e nella zona di Homs. Ma si tratta dei più poveri, quelli che non sanno dove andare, mentre i benestanti o con famiglia all’estero probabilmente non rientreranno mai più. Gli sciiti sono riusciti a mantenere il controllo di quasi tutti i loro villaggi mediante un instancabile gioco di negoziati locali durante il conflitto.
Ora riceveranno l’aggiunta degli sciiti afghani, pakistani o di altri paesi che hanno combattuto e si istalleranno in Siria, anche se non in numero tale da alterare gli equilibri. Per i sunniti c’è il problema dei circa 4-5 milioni di profughi, ora in Libano, Giordania, Turchia, Iraq ecc. Si stima che quelli in Turchia in buona parte tenteranno di sistemarsi nel paese d’accoglienza. Gli altri profughi – in specie chi sta in Libano – saranno prima o poi costretti a rientrare. Si dice anche che un milione di siriani sia ormai all’estero, per lo più in Occidente, ma le cifre sono incerte. I kurdi tengono la loro area con il sostegno americano, pur coscienti di occupare anche zone arabe (come Raqqa): fino a quando sarà loro permesso? Tra l’altro, chiudendo recentemente le scuole cristiane a Qamishli, stanno svelando il loro vero volto, diverso da come vengono dipinti dai media occidentali. Nel mare di rovine cittadine il regime di Assad pensa alla ricostruzione ma mette i suoi paletti.
La norma autorizza i comuni ad espropriare zone appartenenti a privati, al fine di condurre una ricostruzione razionale ed evitare l’anarchia urbana. Si prevedono compensazioni. Il problema è che quasi tutti i rifugiati oltre confine sono sunniti, sospettati di essere dalla parte dei ribelli. Non sarà facile tornare in possesso delle proprie terre o case, soprattutto se queste ultime sono considerate appetibili da chi ha vinto. In conclusione: ci sarà verosimilmente un riassetto generale della cartina umana e urbana in Siria, senza stravolgimenti demografici ma con qualche adattamento alla nuova situazione.
Ad esempio il regime cercherà di 'spezzare' la continuità etnico-religiosa in alcune regioni. Purtroppo ogni guerra nasconde nel suo seno terribili bramosie, come l’odio e la pulizia etnici, che prolungano le crisi. In tempo di guerra tutto sembra permesso e regna la sensazione di impunità. Circa un secolo fa ciò portò al genocidio degli armeni e altri cristiani in terre non lontane da Aleppo e Damasco. Per non incorrere in tale destino occorre ora provare a 'vincere la pace'.
L’opposizione ad Assad deve realisticamente trovare un denominatore comune per sedersi al tavolo della transizione con qualche possibilità di influire. Ci sarà da negoziare una nuova Costituzione assieme a dei riluttanti vincitori e trovare un posto per tutti. Il regime ha vinto. Tuttavia la consapevolezza generale è che nulla potrà essere come prima. Inoltre per la ricostruzione sono necessari ingenti finanziamenti ma gli unici in grado di disporne (Occidente e paesi del Golfo) li sbloccheranno solo in caso di una sensibile evoluzione in termini di pluralismo e democrazia.
Per questo tutti – salvo il regime – cercano un’ardua mediazione verso una fase transitoria che salvi almeno la faccia della comunità internazionale. Le posizioni sono ancora distanti: una parte degli europei persiste nel voler la cacciata di Assad, evento improbabile almeno in una prima fase. Ma ancora non ci siamo: oggi la vicenda di Idlib condiziona le scelte dei vari soggetti. E allora la cosa più urgente, come ha scritto di recente l’ex Presidente Jimmy Carter, è arrivare subito alla pace: «Molti siriani sono giunti alla conclusione che la pace – una qualsiasi, imperfetta o perfino brutta – sia in ogni caso meglio delle violenze che si protraggono».
Già Viceministro degli Esteri