I nuovi volti della povertà da record e la presa in carico che manca
giovedì 17 ottobre 2024

Ci sono i numeri che parlano di un record negativo: 5,7 milioni di persone in povertà assoluta nel nostro Paese, di cui 1,3 milioni minori, mai così tanti. E percentuali che segmentano l’insieme per territorio e tipologia familiare, misurando dove e quanto il morbo della miseria colpisca: il Sud sempre in difficoltà e il Nord che peggiora, i nuclei numerosi ad essere maggiormente a rischio e le famiglie di stranieri a rappresentare quasi un terzo del totale dei bisognosi, perché tra gli immigrati più di quattro su dieci ne sono affetti, come in un’epidemia.
Il rapporto dell’Istat sulla povertà nel 2023 ribadisce concetti che paiono ovvi – più sale il grado di istruzione più si è protetti dal rischio – assieme a dati assai meno scontati: la povertà non è più “monopolio” di clochard e disoccupati ma alligna anche fra chi un’occupazione ce l’ha, con un’incidenza del 16% tra operai e simili, il doppio della media. Ha pesato l’inflazione, dice l’Istituto di statistica, assieme ai bassi salari e ai minori aiuti e trasferimenti pubblici.

È osservando le file alle mense dei poveri o gli accessi agli sportelli Caritas, però, che queste cifre drammatiche diventano carne, le percentuali volti, si può toccare la sofferenza delle persone ai margini. Si trovano ancora gli anziani a cui la pensione sociale non basta, anche se mangiano solo pane e latte la sera, ma ci si imbatte sempre più spesso in madri che recuperano l’essenziale per i figli perché il lavoro precario loro e dei mariti non è sufficiente; in badanti straniere che tra un anziano defunto e il prossimo da assistere non sanno come mettere insieme pranzo e cena; 40-50enni espulsi dal mercato del lavoro, spiazzati da qualche innovazione e ora in difficoltà a mantenere casa e famiglia.
E assieme a loro i “saltuari ritornanti”: quelli che il mese scorso hanno lavorato 20 giorni e non si sono visti, ma ora c’è fiacca e di giornate pagate ne han fatte a malapena 10 e ovviamente non bastano. Ci sono ancora gli spiazzati dalla vita, i malati, i “difficili” che hanno bisogno di una compagnia come companatico essenziale. Sempre più, però, trovi appunto loro: famiglie di origine straniera venute qui per lavorare ma che non guadagnano abbastanza e giovani che hanno abbandonato precocemente la scuola e oggi galleggiano tra un part-time e l’altro. C’è «un’occupazione che si va frammentando tra una fascia alta, in cui a qualità e professionalità corrispondono buone retribuzioni, mentre in basso si creano sacche di salari insufficienti, alimentati anche da part-time involontario, e da precarietà», ha osservato giusto ieri il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. «È la condizione che riguarda anche molti immigrati, sovente esposti a uno sfruttamento spietato, inconciliabile con la nostra civiltà».

Il Governo Meloni - abolendo il Reddito di cittadinanza ritenuto troppo costoso e assistenzialistico - ha scelto di mirare i sostegni solo ai nuclei familiari con figli. Niente più universalità, per spingere in particolare i singoli ad attivarsi e a trovare un’occupazione. Ha incluso più nuclei di origine straniera, prima particolarmente penalizzati dal Rdc, ma in totale ha ridotto la copertura a meno del 30% dei poveri assoluti. Davvero un’esigua minoranza. Assai parziali, finora, anche i risultati dell’altra misura introdotta, il Supporto formazione lavoro, che ha riguardato 96mila persone, coinvolte in progetti di formazione del cui esito non è dato sapere.
Se, però, si è tutti d’accordo che istruzione e occupazione rappresentino gli assi portanti su cui è possibile costruire il percorso di uscita dalla povertà, la formazione e le politiche attive del lavoro dovrebbero diventare le priorità sulle quali investire, la lotta allo sfruttamento un impegno serrato e il recupero degli esclusi dalla scuola, dal mercato del lavoro e dalla società una preoccupazione costante. Assieme a strategie di “contorno” che riguardano anzitutto le politiche per la casa e il diritto all’istruzione, temi finora trascurati.
In definitiva, quella che occorre è una vera e propria “presa in carico dei poveri” che finora non si è avvertita, prima con l’illusione che bastasse fornire a quante più persone un sussidio e ora pensando che il mercato da solo possa aggiustare domanda-offerta di lavoro e far emergere tutti. Ma non è così e un piano, anzi tante strategie politiche, sono sempre più urgenti per evitare quello che, ancora il capo dello Stato, ha definito «un elemento di preoccupante lacerazione della coesione sociale». Dalla povertà si esce solo accompagnati e un Paese cresce tanto più quante meno persone vengono escluse o abbandonate a sé stesse.

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