Caro direttore,
concordo con la prima parte della sua risposta alla lettera pubblicata il 4 agosto 2017, mentre dissento sull’ultima parte, dove afferma di trovare «del tutto comprensibile e sensato» che la gran parte delle Ong non voglia «uomini armati a bordo» delle proprie imbarcazioni: a me appare pericolosa la sua affermazione, che si può anche interpretare come difesa a prescindere dalla Ong tedesca, che ha avuto la sua nave “Juventa” sequestrata e portata al porto di Trapani per accertamenti. Prudentemente, io aspetterei le conclusioni dell’inchiesta delle autorità italiane. Cordialmente
Guido Lovati
Grazie davvero, signor Lovati, per la condivisione della nostra battaglia sintetizzata nel titolo «reato umanitario» e inizialmente troppo solitaria e, come spesso accade, secondo il clima mediatico dominante, “politicamente scorretta”. Anche di questi tempi, chi è schierato senza esitazioni, come noi, dalla parte della vita umana (nascente, migrante, sfruttata, perseguitata, affamata, morente) sembra destinato a finire sempre sul banco degli imputati assieme ai poveri e a quanti lavorano al loro fianco... per questo apprezzo molto la sua condivisione e quella di tanti altri lettori.
Eppure vedo che lei, caro amico, ha mal compreso la mia lineare e semplice affermazione conclusiva nella breve risposta di venerdì 4 agosto al lettore Pedriali. E allora ribadisco che, con essa, dico esattamente ciò che vi si legge, e nulla più. Cioè, anche a mio parere, è «del tutto comprensibile e sensato» che la gran parte delle Ong non intendano acconsentire alla presenza di agenti di polizia armati a bordo delle imbarcazioni messe in mare per operazioni umanitarie. Questo nulla c’entra con le indagini giudiziarie in corso. E le indagini giudiziarie (comunque nascano, magari anche sulla base di torbide denunce e oscure manovre, come in questo caso) nulla c’entrano con l’idea, contemplata nel Codice di condotta delineato dal Ministero dell’Interno italiano, di prevedere quella presenza di personale in armi accanto gli uomini e alle donne di Organizzazioni non governative.
Spiego meglio. Da decenni alcuni governi e regimi – dal Sudan alla Russia – sognano di essere legittimati davanti all’opinione pubblica internazionale nella pretesa di mettere uomini armati alle costole degli operatori umanitari delle Ong. Lavorano e, a volte, tramano per questo. Ma le Organizzazioni che si chiamano “non governative”, e possono dichiarare quella piena “neutralità” che consente loro di agire anche in scenari di guerra, sono tali proprio perché pur disposte a collaborare con tutti (tranne terroristi e tagliagole), da nessun governo e regime dipendono e a nessun governo e regime rispondono. Esse agiscono nella cornice del diritto internazionale umanitario e sono, beninteso, responsabili delle modalità con cui svolgono la missione che si sono data. Responsabili, certo, in coscienza, di fronte alla legge e davanti all’opinione pubblica internazionale. Personalmente, nutro la ragionevole convinzione che le forze di polizia italiane – prezioso strumento di un Paese democratico nel quale ci sono procedure e meccanismi di garanzia che consentono di riconoscere ed emendare eventuali eccessi, errori e persino orrori – si comporterebbero bene e addirittura in modo esemplare (come è accaduto sempre dopo la terribile e vergognosa fase dei respingimenti “ciechi” di profughi e migranti in mare aperto), ma so anche che un precedente “armato” di questo tipo darebbe fiato e pseudo-legittimazione ai tentativi di commissariamento (o di espulsione) di Ong sgradite in diverse parti del mondo.
L’Italia, consapevolmente o inconsapevolmente, non può farsi complice di un simile piano. La sua politica e la sua libera stampa non possono spingere verso questa rischiosa china e verso questo pericolosissimo esito, addirittura criminalizzando chi sceglie senza esitazioni di sostenere e soccorrere uomini, donne e bambini. Posso solo ripetere, caro signor Lovati, ciò che abbiamo scritto, e ho in prima persona argomentato, più volte: tra non molto, molti si vergogneranno davanti a Dio e all’umanità di ciò che hanno malamente detto, tentato, fatto o omesso di fare per riconoscere e prendersi cura dell’umanità in fuga da guerra, miseria e persecuzioni e per governare questa crisi con lucidità e civiltà.