Graziano Zoni
Come darti torto, caro Zoni? Come non condividere la passione che – con la concretezza di chi, attraverso Emmaus Italia, opera da una vita tra gli "ultimi" – ci metti nel denunciare lo scandalo dei cento e cento impoverimenti dei popoli del mondo? E come non condividere l’insegnamento e l’ammonimento di San Tommaso che ci ricordi? Diceva appunto l’Aquinate che nella ricerca filosofica e teologica – come nelle battaglie culturali, sociali e politiche – bisogna essere capaci di tutta la necessaria chiarezza dei termini. Quella, per intenderci, che rende preziosa e impegnativa e "scomoda" la Caritas in veritate di Papa Benedetto. Ripetiamolo, dunque, ancora una volta che la miseria non è un frutto del caso, ma di diseguaglianze e ingiustizie. Ripetiamo senza paura – facendo tesoro della drammatica lezione della grande crisi che ancora stringe il mondo – che ci sono purtroppo ricchezze accumulate con pratiche che gridano vendetta davanti all’umanità e al cospetto di Dio. Rammentiamocelo quando ribattezziamo «tigri» i Paesi e i popoli che provano a scrollarsi di dosso il destino del sottosviluppo e dello sfruttamento delle proprie risorse da parte di altri Stati e di entità multinazionali. E chiediamoci con serietà se non sia anche il nostro esempio di popoli evoluti e ricchi eppure selvaggi, quando si tratta di far affari, ad affilare i "denti" da fiera di chi pilota quei sistemi economici arrembanti e aggressivi, voraci degli ambienti naturali e della dignità di chi lavora e spera in un futuro migliore per sé e per la propria famiglia. Poi, però, ricordiamo pure che non tutta la «povertà» è una maledizione da combattere: esiste anche la povertà come scelta e come stile dell’esistenza, e io che vengo da Assisi sono cresciuto con la consapevolezza nient’affatto sdolcinata e consolatoria che la povertà, come la riconosceva e la viveva Francesco, può esserci «sorella». E teniamo bene a mente che non tutta la «ricchezza» è una prepotenza e un ladrocinio: ci sono esempi coinvolgenti e luminosi di un uso sociale delle risorse, delle proprietà, delle strutture (materiali e di persone) da parte di uomini di stato e d’impresa capaci di tenere la persona umana effettivamente al primo posto. Detto questo, caro Zoni, confermo di essere d’accordo con te sull’importanza di una rigorosa precisione di linguaggio nel definire i concetti e nell’individuare gli obiettivi della grande battaglia per umanizzare davvero le nostre società e i rapporti tra le diverse nazioni. Non ti nascondo, però, che al silenzio e all’inazione preferisco di gran lunga qualche approssimazione lessicale e concettuale. So infatti, quanto te, che lo scandalo più intollerabile di tutti sarebbe quello di usare le parole giuste e mostrare di aver capito che nessuno muore di fame o conduce una vita misera perché così sta scritto nelle stelle eppure continuare a non fare tutto ciò che è possibile e necessario per ristabilire un giusto equilibrio. Più passa il tempo e più vertici internazionali vedo celebrarsi, gentile e illustre amico, e più temo che lo scandalo sia proprio questo: sappiamo quello che c’è da sapere, abbiamo capito tutto, riusciamo persino a dire le cose che vanno dette, ma seguitiamo a non fare ciò che va fatto.
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: