E ora? Non si arresta, e anzi va montando, l’onda sismica smossa da papa Francesco venerdì scorso nella Cappella Sistina, come se solo adesso si iniziasse a capire cosa è davvero successo. Un’onda di entusiasmo che da emotiva sta diventando desiderio di capire e ragionare da parte del mondo dell’arte. Una galassia che sotto la volta di Michelangelo è stata riconosciuta – in un modo che di rado accade – comunità. Ma è un’onda che deve soprattutto interrogare la Chiesa. Il discorso di Francesco, che più volte deraglia dai binari consueti sul rapporto tra estetica e sacro, apre e chiede di aprire spazi. Prima di tutto al mondo cattolico. Tra Chiesa e cultura non è mancato il dialogo bensì la sua continuità, la dimensione strutturale. Senza ricadute reali nella vita del-le Chiese locali, la mattina di venerdì rischia di tramutarsi da ricordo abbagliante in rimpianto. Il Giubileo appare una eccellente occasione laboratoriale.
Ma soprattutto chiede di aprire spazi diversi. Alla Chiesa si impone in questa stagione uno sforzo di creatività, un pensare in modo nuovo, inedito. Quanto potrebbe essere prezioso il contributo degli artisti, capaci «di sognare nuove versioni del mondo»? È così impensabile la loro presenza all’interno dei luoghi e dei contesti dove si immagina una nuova presenza del Vangelo? Non è un tema nuovo. Arturo Martini, quasi un secolo fa, chiedeva, implorava la Chiesa di «fidarsi degli artisti». Ma la Chiesa – per un problema storico ma anche, è inutile nasconderlo, per una diffusa impreparazione culturale – ha timore di questa capacità di uscita degli artisti. Fanciulli e veggenti, come li definisce Francesco. Poeti e profeti come li voleva Paolo VI. « L’arte e la fede non possono lasciare le cose come stanno».
Il modo con cui la Chiesa pensa il suo rapporto con le arti non è solo una questione teologica o estetica ma anche ecclesiologica e insieme politica, perché appare impossibile disgiungerlo da come la Chiesa si intende e quindi si pone e (inter)agisce nel suo tempo. Le arti contemporanee sono lo strumento ideale per la Chiesa in uscita. Francesco ha invitato a «non dimenticare i poveri»: gli artisti da tempo riconoscono la gloria dello scarto. Non si contano poi gli artisti il cui lavoro è nei processi sociali o la cui opera è costituita da performance collettive che coinvolgono la comunità, recuperando i paradigmi del rito e del dono.
L’essenza del sacro cristiano è nella relazione ma alla Chiesa, con lo sguardo rivolto spesso solo dentro i luoghi di culto, manca ancora l'immaginazione di fare arte (sacra, eccome) di questo tipo. Qualcosa che assomiglia molto al grande cantiere del Regno. L’incontro di venerdì mattina ha costruito spazi che ora desiderano di essere abitati. Non spezziamo questa tensione miracolosa. Non mettiamo la lampada sotto il moggio.