Caro direttore,
avendo apprezzato l’apertura del dibattito sul debito pubblico fatta da 'Avvenire', le scrivo per intervenire su un problema che riguarda da vicino il tema: i derivati, anche alla luce di un’importantissima decisione della Commissione Europea (caso AT 39914' del 3 dicembre 2013 https://goo.gl/5Siifb), ad oggi non resa operativa. I derivati sono strumenti finanziari complessi che, per la loro enorme diffusione sui mercati di capitali – consolidatasi nei primi anni dopo il Duemila – hanno finito per acquisire un ruolo di assoluta centralità nell’intera economia globale.
Questi contratti 'derivano' il loro valore da altri beni o prodotti che ne formano il substrato sottostante. Ma, se pure siano nati come strumenti di copertura dei rischi, una delle caratteristiche peculiari dei derivati li ha trasformati in strumenti primari della speculazione finanziaria: la possibilità per un derivato di essere un prodotto acquistabile sui mercati da un numero indefinito di scommettitori che non vantano alcun rapporto diretto col titolo (o col bene) sottostante o che, in altre parole, non sono direttamente coinvolti nell’operazione finanziaria dal cui andamento il prodotto derivato trae il suo valore.
A seguito dello scoppio della bolla finanziaria, avvenuto tra il 2007 e il 2008, i soggetti protagonisti della finanza internazionale sono riusciti, tramite i derivati, a scaricare le conseguenze della crisi sui settori produttivi dell’economia reale (le imprese) e sugli enti pubblici (quindi, in fin dei conti, sulla stessa collettività). I risultati sono che, secondo la Corte dei Conti, lo Stato italiano ha già perso, nel quinquennio 2011-15, 23,5 miliardi ed è possibile che ne perda altri 37,9 nei prossimi anni, mentre gli Enti locali (per i quali vige dal 2008 il divieto di stipulare nuovi contratti derivati), continuano ad averne in pancia valori per decine di miliardi. Secondo i dati forniti annualmente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze-Dipartimento del Tesoro a fine 2017 risultano censiti 342 contratti derivati detenuti da 174 Enti, per un nozionale iniziale (al momento della stipula, quindi) di circa 18 miliardi di euro.
Ora, l’importante decisione sopra citata permetterebbe di invertire in qualche modo la rotta. I soggetti pubblici potrebbero anzitutto vedersi risarciti gli interessi per i contratti stipulati tra il 2005 e il 2008 che avevano un tasso variabile legato all’Euribor. Il provvedimento dell’Antitrust Ue si basa su due elementi: a) il primo è relativo all’indeterminatezza del tasso quando il parametro di riferimento preso è l’Euribor (un tasso inteso a riflettere il costo dei prestiti interbancari in euro); in questo caso, rileva la decisione, i parametri atti ad individuare il tasso variabile sono scarsamente intelligibili, poiché nella clausola è prevista una serie di rinvii concatenati a valori anche di valute estere in astratto recuperabili, ma tali da non rendere immediatamente reperibili e via via verificabili i dati. L’incertezza della clausola di determinazione degli interessi in un contratto di mutuo determina la nullità della clausola stessa (art. 117 T.U.B.); b) il secondo è relativo all’intesa restrittiva della concorrenza, operata da un cartello tra le principali banche europee, con lo scopo di manipolare, a proprio vantaggio, il corso dell’Euribor; vicenda che si è chiusa con la condanna di 4 tra le più note banche europee (Barclays, Deutsche Bank, Royal Bank of Scotland e Société Générale) al pagamento di una multa pari a 1,7 miliardi e il conseguente diritto tangibile al risarcimento dell’utente finale per indeterminatezza e manipolazione del tasso.
Secondo questa decisione, lo Stato e gli enti locali italiani possono in sostanza ottenere il risarcimento integrale di tutti gli interessi e flussi negativi su derivati che si sono visti addebitare relativamente a tali contratti nel periodo che va dal 2005 al 2008. La decisione apre la possibilità per un Giudice competente nazionale, chiamato a uniformarsi alla decisione Ue, di aprire, con un’eventuale sentenza di condanna penale, la strada delle cause civili. Al momento a indagare in materia è la Procura di Trani. Non essendo coinvolte nel cartello banche italiane, bisogna attendere la conclusione del procedimento che varca i confini nazionali. Detto questo, si rendono necessarie alcune riflessioni. Va innanzitutto sottolineata la subalternità della Commissione europea allo strapotere del sistema bancario che, se pur dalla stessa condannato, è riuscito a ottenere la non pubblicazione di una decisione di tale portata per oltre 3 anni (fino a dicembre 2016).
Ma altrettanto severamente va giudicata la condotta dello Stato e degli Enti locali che, a distanza di oltre quattro anni dalla decisione dell’Antitrust Ue e di oltre un anno dalla sua pubblicazione, non hanno ancora perseguito tutte le strade per valutare la possibilità delle richieste di risarcimento e in seconda battuta delle cause, tutelando la propria funzione pubblica e sociale, le comunità territoriali amministrate e la ricchezza collettiva prodotta. Per quanto riguarda gli enti locali, va ricordato come gli anni 2005-08 costituiscano il periodo di massima dimensione della stipula di contratti derivati da parte degli Enti locali, il cui apice è stato raggiunto nel 2007 con 796 enti interessati e 1.331 contratti sottoscritti dal valore nozionale iniziale di 37,042 miliardi di euro.
Fu proprio l’espansione senza controllo dei derivati a far decidere nel 2008 (art. 62, D.Lgs. n. 112/2008) la sospensione temporanea all’attività in derivati di Regioni ed Enti locali (poi divenuta definitiva con la Legge di stabilità 2014). Siamo dunque di fronte a una massiccia sottrazione di ricchezza alle comunità locali, operata da banche con la complicità, ingenua o consapevole, degli amministratori. È questo un tema su cui Cadtm Italia (Comitato per l’annullamento dei debiti illegittimi) e la 'Rete dei comitati per l’audit sul debito locale' chiederanno con forza un’azione trasparente e determinata da parte delle istituzioni locali e nazionali, le quali non potranno più dire: 'Io non lo sapevo'. Come si vede, i soldi ci sono. Sono solo finiti nelle mani sbagliate e si tratta di riappropriarsene collettivamente.
Attac Italia, Associazione per la tassazione delle transazioni finanziarie e l’aiuto ai cittadini.