Matteo C.
Se non è vera, è ben raccontata. E se la vicenda è vera, signor Matteo C., mi pare che l’apologo familiar-nazionale che ci costruisce su, mostri e dimostri, prima di ogni altra cosa, a che punto siamo arrivati nel vivere e nel "catalogare" i temi caldi dell’Italia attuale. Non ne sono affatto felice (e come me, credo, tanti). Io so, da altre cose che mi ha scritto, che lei è un insegnante motivato e appassionato, una di quelle persone che si usa definire "belle". Proprio per questo mi permetto di mettere da parte la polemica geopolitica e intraecclesiale che lei sviluppa (con eccessi che non riesco proprio a condividere). E le parlo innanzi tutto da figlio, quale non smetterò mai di essere. Chiedendole sin d’ora scusa se le parrò franco sino alla ruvidezza. Qualunque cosa pensi e dica una madre – arrivo a dire soprattutto se dovesse essere, o suonare, sgradevole e sbagliato –, un figlio non la mette alla berlina, non ci giochicchia e non la usa per regolare i propri conti "politici". Ci pensi.E poi: attento ai luoghi comuni, caro amico, alle generalizzazioni ingiuste, all’ansia di gridare che il mondo (ovvero i dirimpettai che eleggiamo ad avversari) fa tutto schifo. Dobbiamo davvero ritrovare il senso del limite e della proporzione, unire una sacrosanta capacità di indignazione alla carità umana e alla serenità di giudizio. Pubblico questa sua lettera – senza citare, per motivi intuibili, la località da cui proviene – perché spero che aiuti tutti noi a riflettere. Oltre le euforie polemiche tanto di moda. E a partire, magari, dal quarto comandamento: onora il padre e la madre.
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